Diagnosi prenatale. Esami invasivi e non invasivi
La più grande preoccupazione di una coppia all’inizio di una gravidanza è sicuramente la salute del nascituro. La diagnosi prenatale è da sempre la prima scelta importante che ci si trova ad affrontare in attesa di un figlio. Proprio per questo motivo è fondamentale che la donna (o meglio la coppia), riceva una consulenza e un’informazione adeguata su tutto ciò che è possibile fare e su quali sono i potenziali risultati.
Per diagnosi prenatale si intende un insieme di indagini, sia strumentali che di laboratorio, che hanno lo scopo di monitorare alcuni aspetti dello stato di salute del feto durante la gravidanza.
La probabilità di avere un figlio affetto da anomalie congenite (cromosomiche, genetiche o malformative) è di circa 1-3% nella popolazione generale. Questo significa che nessuno può essere considerato esente da questo rischio. In casi specifici di familiarità per malattie congenite note si consiglia (quando possibile) una Consulenza Genetica Preconcezionale. La valutazione del possibile rischio di malattia da parte di un genetista conferma se esista solo un rischio generico, uguale a quello di tutta la popolazione, o se siano presenti fattori di rischio specifici.
La diagnosi prenatale si divide in due grandi gruppi: invasiva e non invasiva.
La diagnosi prenatale invasiva
La diagnosi INVASIVA comprende amniocentesi e villocentesi. Esami caratterizzati da un rischio d’aborto di circa lo 0,8% ma che garantiscono un risultato certo sul cariotipo del nascituro, ovvero sul numero e la struttura dei suoi cromosomi. Il Sistema Sanitario Nazionale garantisce gratuitamente questi esami alle donne con età superiore a 35 anni o a chiunque abbia un test combinato con rischio alto.
Gli esami per la la diagnosi prenatale non invasiva
La diagnosi NON INVASIVA comprende Duo test (chiamato anche Bi-test o Ultrascreen) e DNA fetale (NIPT). Questi esami sono privi di rischio per la gravidanza.
Il Duo test è un test di screening composto da un prelievo di sangue della mamma in cui vengono dosate due proteine prodotte dalla placenta (freeBHCG e PAPP-A) e da un’ecografia approfondita che viene eseguita tra l’11° e la 13° settimana. Durante quest’ultima, vengono misurati e controllati diversi parametri fetali (translucenza nucale, osso nasale, dotto venoso e controllo accurato dell’anatomia) e richiesti dati anamnestici alla madre. Questi dati vengono poi inseriti in un programma e un algoritmo calcola il rischio di trisomia 21. Esiste un rischio di partenza, che è quello calcolato per età, e un rischio corretto dopo l’inserimento di tutti i dati: il risultato è quindi statistico, viene calcolata una probabilità di avere un figlio affetto da un’anomalia di numero di alcuni cromosomi.
Il DNA fetale è sempre un prelievo di sangue in cui però si ricerca la frazione di DNA fetale libero nel sangue materno. Ha un’attendibilità molto alta, intorno al 99,9% su trisomia 21 e poco più bassa nella ricerca di trisomia 13, 18 e anomalie dei cromosomi sessuali. Anche questo viene associato alla stessa ecografia del Duo test.
Entrambi questi test, in caso di alto rischio, vanno confermati con la diagnosi prenatale invasiva (esiste il rischio di falso positivo).
Tutte le indagini prenatali disponibili permettono di identificare solo alcune malattie o condizioni patologiche, ed è importante che ogni coppia scelga con consapevolezza se sottoporvisi o meno. Non esistono infatti esami obbligatori: è sempre una scelta della coppia se e quale indagine eseguire.
Le indagini prenatali permettono di individuare precocemente anche malattie che possono essere causate da anomalie del DNA, da malattie infettive contratte in gravidanza, come la rosolia o la toxoplasmosi, dall’assunzione di farmaci che possono indurre malformazioni fetali e da altre cause tra cui, alcune, curabili in utero prima della nascita. Talvolta, è anche possibile individuare alcuni difetti congeniti, ad esempio dei reni e delle vie urinarie, sui quali intervenire chirurgicamente subito dopo la nascita del bambino per evitare danni irreversibili.
Un altro step importante durante la gravidanza è l’ecografia morfologica (che si esegue tra la 19° e la 21° settimana). Essa serve a controllare approfonditamente l’anatomia fetale tecnicamente indagabile e ad escludere quindi anomalie congenite.
Questi esami spesso provocano “ansia” nei genitori, ed è del tutto normale vista l’importanza degli stessi nella valutazione del nascituro. Ma anche quando ci fosse un campanello d’allarme o una anomalia congenita accertata, essa consente una diagnosi e, quando possibile, di instaurare una cura farmacologica o chirurgica prima della nascita. Infine permette di programmare il momento, il luogo e le modalità dell’assistenza al parto, e di predisporre un’adeguata presa in carico medica e psicologica dei genitori.
Dr.ssa Silvia Vigo, Unità di Ostetricia e Ginecologia – Ospedale San Giuseppe