Vene varicose, non prendiamole “sotto gamba”
Le vene varicose, o varici, preoccupano soprattutto le donne per via degli inestetismi. In realtà si tratta di una patologia vera e propria che sarebbe bene conoscere meglio e che dovrebbe interessare maggiormente anche la popolazione maschile, che ne è sempre più colpita.
Belle gambe? Sì, quando sono sane
Il ritorno venoso degli arti inferiori è composto da due sistemi, uno profondo e uno superficiale: le vene, lavorando controcorrente, si avvalgono dell’attività di pompa dei muscoli (principalmente quelli del polpaccio) e di un sistema di valvole che facilita lo scorrimento del flusso sanguigno. È fondamentale, dunque, che le vene siano elastiche e le valvole efficienti. Le varici sono quelle vene superficiali nelle quali il sangue scorre a fatica o ristagna. A causa della maggiore pressione sanguigna, le vene assumono un aspetto tortuoso, si gonfiano e a volte dolgono. Fattori predisponenti o di rischio sono la sedentarietà; l’aumento di peso e l’obesità; la familiarità; l’età avanzata; i disturbi ormonali. Inoltre la gravidanza e l’uso precoce della pillola anticoncezionale sono le cause più frequenti nelle vene varicose femminili. Le varici sono una patologia che ha una discreta diffusione ormai anche fra la popolazione maschile che più spesso, però, sottovaluta il problema.
Alcuni accorgimenti del nostro stile di vita possono combattere l’insorgere delle vene varicose come un’alimentazione ricca di fibre (fra i fattori di rischio vi è anche la stitichezza) e flavonoidi (centella, mirtillo, frutti di bosco, tè verde) ed evitare la sedentarietà e una costante posizione ortostatica, cioè rimanere in piedi in una posizione fissa (alcune professioni sono più a rischio e uno dei primi rimedi è non usare tacchi più alti di 3 o 4 cm).
Pesantezza delle gambe, crampi e formicolii, gonfiore delle caviglie, sono questi i segnali di un possibile problema di ritorno venoso. In alcuni casi la circolazione sanguigna può essere così scarsa da arrivare alla stasi cronica e le varici possono rompersi provocando lividi sulla pelle. Nei casi più gravi la varice si apre all’esterno in forma di ulcera varicosa, delle vere e proprie lesioni della cute.
Se la questione si complica
Fra le complicanze si possono verificare casi di flebite, ossia l’infiammazione delle vene superficiali. Quando le vene profonde sono infiammate o interessate da un’interruzione del flusso venoso, si formano coaguli sanguigni, chiamati trombi, che possono occludere parzialmente o totalmente i vasi venosi e raggiungere anche il circolo polmonare causando un’embolia polmonare. In età avanzata la malattia è cronica e progressiva.
Una metodica diagnostica molto diffusa per l’insufficienza vascolare (venosa o arteriosa) è l’Ecocolordoppler. Un esame non invasivo e indolore che permette la visualizzazione ecografica dei vasi sanguigni e lo studio del flusso sanguigno grazie a agli ultrasuoni. Ciò consente di individuare la presenza di restringimenti e occlusioni arteriose, trombosi venose profonde e varici. Si tratta di un esame risolutivo sia per la diagnosi e la conseguente valutazione sulla terapia, sia sul suo monitoraggio nel tempo.
Lo specialista potrà consigliare, anche a scopo preventivo, l’uso di calze elastiche graduate per aumentare la velocità di flusso del sangue e contrastarne la stasi. Il medico può prescrivere pomate o farmaci per irrobustire il tono delle vene. Se la patologia è molto localizzata può essere efficace una scleroterapia, per dirottare il flusso sanguigno verso altre vene, cosiddette “di supplenza”. Nei casi più gravi si ricorre a un intervento chirurgico: la tecnica più utilizzata è lo stripping e consiste nell’asportazione della safena, la vena collettore degli arti inferiori. La stessa safena può diventare varicosa, ma con una safenectomia si abbassa fortemente il rischio di recidive.
Per le persone over 80, con controindicazioni alla chirurgia, è specifica una tecnica ambulatoriale derivata dalla scleroterapia e nota come “scleromousse” ecoguidata. L’agente sclerosante (visualizzato ecograficamente per controllarne la diffusione), è iniettato in forma schiumosa. Contestualmente al paziente viene chiesto di indossare una calza elastica per qualche giorno e viene invitato a riprendere immediatamente la deambulazione. A distanza di un mese il paziente è ricontrollato e, se necessario, la seduta viene ripetuta ma spesso è sufficiente un solo trattamento. Si tratta di una tecnica molto efficace per la piccola safena.