Linfedema. Diagnosticarlo e curarlo
Il sistema linfatico, come quello venoso, è costituito da una moltitudine di vasi a parete sottile che, per mezzo della pressione generata dalla contrazione muscolare, trasportano la linfa (composta da proteine, liquidi e lipidi) in tutto il corpo. Quando il flusso linfatico viene ostacolato, i vasi non sono più in grado di drenare correttamente la linfa, che ristagna nei tessuti e genera così il gonfiore tipico del linfedema.
Prima di entrare nel sistema venoso centrale, la linfa passa attraverso i linfonodi, che filtrano materiale cellulare, comprese le cellule tumorali, e particelle estranee. Se i linfonodi e i vasi linfatici sono invasi da cellule tumorali o sono compressi, la linfa non riesce a defluire normalmente e, anche in questo caso, ristagna nel tessuto sottocutaneo, causando il gonfiore della regione interessata.
Secondo i dati epidemiologici dell’OMS, in Italia circa 350 mila persone soffrono di linfedema e si registrano circa 40 mila nuovi casi ogni anno, soprattutto donne tra i 30 e i 40 anni. Nel mondo si segnalano 300 milioni di casi, 1 persona su 20 viene colpita da linfedema per varie cause. Si tratta quindi di una patologia molto diffusa, a carattere evolutivo, disabilitante ed ingravescente. L’incidenza maggiore la si ha intorno alla metà della terza decade di età, esistono le forme precoci (se dovesse manifestarsi durante l’adolescenza o addirittura alla nascita) e tardive (se dovesse mostrarsi in seguito), il sesso femminile per il linfedema degli arti inferiori è il più colpito, per il resto non si mostrano differenze nei sessi.
Diverse possono essere le cause (patogene, congenite e acquisite) che inducono i vasi linfatici a non svolgere correttamente la loro funzione, generando l’accumulo di liquidi. Secondo la classificazione di Kinmonth e Taylor del 1957, il linfedema si distingue in:
- Primario: una condizione progressiva e incurabile piuttosto rara, derivante da una patologia congenita e/o ereditaria che determina un’anomalia nello sviluppo del sistema linfatico e coinvolge principalmente gli arti inferiori.
- Secondario: quando diversi agenti causali (interventi chirurgici, terapia radiante, traumi, infezioni, ostruzione tumorale o altri eventi) determinano alterazioni dei linfonodi e/o dei vasi del sistema linfatico e ne modificano in maniera irreversibile la sua capacità di trasporto. Si presenta principalmente negli arti superiori.
La sintomatologia è rappresentata da edema (o gonfiore) caratterizzato da un segno della fovea (o fossa) duro non comprimibile, di consistenza fibrosa, in uno o più arti. Fra i sintomi e i segni clinici si riscontrano anche dolore (da leggero quando la parte viene pizzicata ad un dolore più persistente), facile affaticamento degli arti interessati, diminuzione della normale mobilità di questi e possibili disturbi psicologici per via del disagio subito.
La diagnosi si effettua sulla base di un esame obiettivo che prende in considerazione la presenza di ipercheratosi cutanea (complicanza più frequente) e il risultato del cosiddetto segno di Stemmer, col quale si cerca di sollevare una piega (plica) cutanea, se la manovra risulta difficile o impossibile, si parla di segno di Stemmer positivo. Successivamente, si esegue un’accurata misurazione dell’arto linfedematoso che permette di oggettivare la differenza di volume riscontrabile durante l’esame obiettivo. Il gold standard per la valutazione volumetrica, cioè il water displacement, non è facilmente applicabile nella pratica clinica. Questo metodo prevede l’immersione del braccio affetto dentro a una vasca graduata piena d’acqua. Il volume dell’arto, per il principio di Archimede, sarà uguale al volume di acqua spostato. Per questo, la misurazione centimetrica delle circonferenze dell’arto è, ad oggi, la metodica più utilizzata, essendo immediata e poco costosa. Recentemente, strumenti come il Perometer o laser scanner tridimensionali sono stati introdotti in ambito clinico per poter implementare la precisione e la riproducibilità delle misurazioni, tuttavia risultano utilizzate solamente in centri specializzati.
Accanto alla anamnesi e all’esame clinico, oggi abbiamo a disposizione una serie di metodiche strumentali in grado di coadiuvare il medico nel raggiungimento di una diagnosi accurata e soprattutto nella gestione di una terapia mirata e monitorata nel tempo; fra queste le più comuni sono l’Eco-color-doppler (dalle molteplici valenze sul versante flebo-linfatico), l’Ecografia, la TAC, la Risonanza Magnetica e la Linfoscintigrafia.
Tra gli esami per la definizione diagnostica del linfedema, la prima scelta ricade sulla linfoscintigrafia, un esame minimamente invasivo e facilmente ripetibile che si esegue iniettando a livello sottocutaneo uno specifico tracciante radioattivo per raccogliere indicazioni importanti per la definizione diagnostica, l’indirizzo terapeutico e la prognosi del singolo caso. Le figure mediche cui spetta la diagnosi sono i Medici specialisti (in genere Chirurghi Vascolari) in flebologia (Flebo-linfologo) ed il Fisiatria.
Il trattamento consiste nell’esercizio fisico (meglio in piscina), nell’elastocompressione (con calze elastiche adeguate a “trama piatta” o bendaggi multistrato), nei massaggi linfodrenanti (metodi Vodder e Leduc), nella pressoterapia sequenziale, e talvolta nell’intervento chirurgico (escissionali e/o di microchirurgia). Generalmente non si ottiene la guarigione completa, ma il trattamento può ridurre o rallentare la progressione della malattia e prevenirne le complicanze.
Il paziente necessiterà di una terapia di controllo per tutta la durata della sua vita, impedendo così al sintomo di ripresentarsi degenerando pericolosamente; questi sono a rischio di sviluppare infezioni come cellulite, linfangite (anche molto gravi) e, più raramente, anche forme tumorali (linfangiosarcoma).
Massimiliano Martelli, Direttore U.O. Chirurgia Vascolare Gruppo MultiMedica