Dal luppolo della birra una molecola capace di “affamare” i tumori
Dal luppolo della birra una molecola capace di “affamare” i tumori colpendo il metabolismo delle cellule dei vasi- questo il risultato di una nuova ricerca condotta dal gruppo dal gruppo della Dottoressa Albini, Direttore del Laboratorio di Biologia Vascolare ed Angiogenesi dell’IRCCS MultiMedica di Milano/Sesto San Giovanni e pubblicato sulla rivista internazionale “Oncotarget“.
Di cosa si tratta?
Tagliare i viveri con i quali il tumore si nutre, si procura ossigeno e costruisce i binari per diffondersi in siti distanti, rappresenta una delle strategie anti-tumorali, detta anti-angiogenesi, che viene spesso affiancata alla chemioterapia classica nella lotta ai tumori. Nell’ambito della chimica farmaceutica per trovare, molecole a cui “ispirarsi” con attività terapeutica e preventiva, spesso sono proprio vicino a noi, magari proprio sulla nostra tavola.
Il gruppo della Dott.ssa Albini, attraverso uno studio pubblicato sulla rivista Oncotarget, ha infatti dimostrato che lo Xantumolo, un flavonoide contenuto nel luppolo della birra, esercita la sua attività anti-angiogenica agendo sulla proteina chinasi attivata dall’ adenosina mono-fosfato (AMPK).
Ma cos’ è questa AMPK?
“L’ AMPK – spiega la Dott.ssa Albini – è una molecola dell’organismo che funge da sensore energetico e che si attiva in risposta a cambiamenti metabolici. La novità dello studio è proprio questa: lo xantumolo è in grado di attivare direttamente o indirettamente l’AMPK nelle cellule endoteliali dei vasi sanguigni, esercitando un’azione anti-angiogenica. Questo si traduce in una diminuzione della capacità proliferativa, in una riduzione di migrazione, invasione e capacità di formare stutture simil-capillari.”
Si tratta di uno studio “Multicentrico”, condotto in collaborazione con più Centri di Ricerca, quali?
“Questo studio – continua la Dott.ssa Albini – nasce dalla collaborazione di diversi istituti: l’IRCCS MultiMedica di Milano (Dr.Antonino Bruno, Dr.ssa Barbara Bassani, Dr. Gabriele D’Uva), l’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia (Dr.ssa Cristina Gallo, Dr.ssa Katiuscia Dallaglio, Dr.ssa Teresa Rossi), l’università dell’Insubria di Varese (Prof. Douglas Noonan) e l’ Università di Pisa (Prof. Armando Rossello). Inoltre – sottolinea la Dott.ssa Albini – lo studio è stato in gran parte condotto da giovanissimi ricercatori dei laboratori partecipanti, tutti under 35.”
Lo studio è stato anche possibile grazie al supporto di un finanziamento da parte dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e di una Borsa della Fondazione Umberto Veronesi (FUV).