Aria inquinata. Cuore a rischio
Nel 2012 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che, a livello mondiale, un decesso su otto potesse essere legato all’inquinamento atmosferico; l’OCSE ha calcolato che nel 2050 polveri sottili e inquinanti atmosferici saranno la prima causa ambientale di mortalità. E’ anche per questo che i cardiologi di tutto il mondo stanno studiando il legame fra l’esposizione ai particolati presenti nell’atmosfera e le diverse patologie che colpiscono il sistema cardiocircolatorio. Per avere maggiori informazioni a riguardo, ci siamo rivolti al dr. Edoardo Gronda, direttore della Ricerca cardiovascolare dell’IRCCS MultiMedica.
Ben 26 sessioni e 108 abstract presentati all’ultimo Congresso Europeo di Cardiologia (ESC) analizzano il legame fra inquinamento atmosferico e salute cardiovascolare. Un vero e proprio allarme!
In effetti il tema è di grande interesse. Al centro della riflessione scientifica c’è soprattutto il processo infiammatorio che sembra essere alla base di molta patologia cardiovascolare, in particolare dello scompenso cardiaco.
E cosa centra questo con l’inquinamento?
Si ipotizza che esista una correlazione diretta tra inquinanti, in particolare le polveri PM 2.5, e processo infiammatorio dell’organismo, a sua volta responsabile del danno cardiaco. Non solo. Si è osservato anche che l’inquinamento dell’aria è fattore scatenante di attacchi d’ansia, a loro volta origine di malattia cardiaca.
Ci spieghi meglio.
Partiamo da quest’ultimo assunto. Un gruppo di ricercatori del Department of Epidemiology dell’Harvard Medical School of Public Health, in una coorte di oltre 70.000 infermiere che vivono in vari Stati degli USA, ha raccolto dati relativi alla loro esposizione agli inquinanti ambientali e rilevato informazioni concernenti il loro livello di manifestazioni ansiose. Il risultato di questo studio, pubblicato sul British Medical Journal, ha messo chiaramente in luce l’esistenza di una relazione tra l’esposizione alle polveri PM 2.5 e i sintomi ansiosi: al crescere dell’inquinamento dell’aria segue, entro un mese, un incremento delle manifestazioni d’ansia. L’ipotesi dei ricercatori è che l’inquinamento dell’aria possa indurre o esacerbare l’ansia attraverso l’aumento dello stress ossidativo e del livello di infiammazione sistemica.
Sul fronte meramente infiammatorio e cardiovascolare vale invece la pena citare i risultati di uno studio britannico, anch’esso recentemente pubblicato su BMJ. Gli autori della ricerca hanno valutato i risultati di oltre cento diversi articoli scientifici incentrati sulla possibile relazione esistente tra l’inquinamento e gli episodi di ictus sia emorragico che ischemico. Alla fine è emersa una precisa correlazione temporale tra il livello di inquinamento dell’aria e l’incremento di ricoveri in ospedale per ictus, ma anche di mortalità specifica per questa causa. Gli autori hanno poi indicato i possibili meccanismi attraverso i quali l’inquinamento potrebbe essere responsabile dell’insorgenza degli ictus. Ipotizzano, nello specifico, una diretta azione degli inquinanti, anche in questo caso in particolare le polveri PM 2.5, sull’endotelio arterioso (il sottile strato cellulare che ricopre internamente le arterie), associato a un’iperattività del sistema nervoso autonomo, da cui deriverebbero vasocostrizione, aumento della pressione arteriosa, ischemia.
Cosa si può fare per evitare queste compromissioni?
Per il momento attendere conferme dalla clinica. Va infatti sottolineato che le suddette ricerche rientrano nell’area degli studi osservazionali. Si tratta quindi di assunti teorici che ora dovranno essere provati da dati clinici raccolti sul campo.
In tal senso una prima conferma sembra arrivare da uno studio condotto negli Stati Uniti dagli scienziati della NYU Langone Medical Center e pubblicato online il 15 settembre scorso sulla rivista Environmental Health Perspectives. In questo caso sono stati valutati dati di un’indagine approfondita sulla salute e la dieta effettuata dai National Institutes of Health (NIH) e dall’Associazione Americana dei Pensionati (AARP). Lo studio NIH-AARP ha coinvolto 566.000 volontari maschi e femmine, di età compresa tra 50 e 71 anni, della California, Florida, Louisiana, New Jersey, North Carolina, Pennsylvania e delle aree metropolitane di Atlanta e Detroit. Analizzando le informazioni raccolte sui partecipanti tra il 2000 e il 2009, i ricercatori hanno calcolato il rischio di morte da esposizione al particolato, in ogni distretto, incrociando le informazioni sulla quantità e il tipo di particolato ricavate dal sistema di qualità dell’aria della Environmental Protection Agency e altri database. I ricercatori hanno poi statisticamente escluso altre variabili che influenzano la salute e la longevità (età, razza o etnia, livello di istruzione, stato civile, dimensione corporea, consumo di alcol, fattori socio-economici). E’ stato così rilevato che anche un minimo aumento della quantità di polveri sottili (di 10 microgrammi per metro cubo d’aria, ad esempio) fa crescere il rischio di morte complessivamente del 3%; il rischio di decessi per malattie cardiache del 10%; e quello per malattie respiratorie nei non fumatori del 27%.
Verrebbe da dire che al corpo umano servirebbe un filtro antiparticolato come quello delle auto.
Proprio così. Il nostro corpo non è dotato di filtri fisiologici in grado di bloccare polveri così fini come le PM 2.5, che, a differenza di particelle più grandi (un granello di sabbia per esempio), non possono essere espulse dalle vie aeree con colpi di tosse e starnuti. Esse, di fatto, entrano nei nostri polmoni e poi, attraverso le camere alveolari, nel sangue che le porta a tutti gli altri organi.
Come posiamo difenderci?
Se i tassi di inquinamento atmosferico continueranno a crescere, saremo necessariamente costretti a indossare tutti le mascherine naso-bocca oggi già ampiamente diffuse e utilizzate in molte metropoli, soprattutto asiatiche.
Immagino che i più a rischio siano i bambini.
I bambini, avendo una struttura immunitaria non ancora del tutto sviluppata, sono sicuramente i più esposti ai danni da inquinamento. Prova ne è, per esempio, l’incremento esponenziale di patologie polmonari in età pediatrica. Anche in questo caso, la mascherina naso-bocca è l’unico strumento preventivo utile per chi vive nelle grandi città.