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Blog – Gruppo MultiMedica

Cambio di prospettiva

Ebbene si, anche i medici si ammalano!
Ma cosa significa per loro “trovarsi dall’altra parte”?
Come interagiscono con i colleghi?
Come affrontano la malattia?

Ce lo racconta il dr. Cesare, pediatra e neonatologo di professione, che ha aspettato addirittura la pensione per indagare un disturbo che l’ha afflitto per buona parte della sua vita lavorativa e al quale non aveva dato la giusta considerazione: la tosse.

Dottore da quanto tempo soffriva di questo disturbo e come mai ha atteso diverso tempo prima di indagarne le cause?

Da che io ricordi ho sempre avuto la tosse, mi ha sicuramente accompagnato durante la mia vita lavorativa, tant’è che in reparto era ormai diventata il mio segno distintivo che anticipava il mio arrivo ai colleghi. Sul perché abbia aspettato di andare in pensione prima di indagare la causa di questo mio disturbo non saprei rispondere. Probabilmente il detto “il calzolaio gira sempre con le scarpe rotte” può adattarsi anche per la professione medica! Sia io che i miei colleghi l’abbiamo sempre considerata come una forma di tosse nervosa, non meritevole di approfondimenti. Pensavo fosse un po’ uno sfogo dalla tensione lavorativa.

Come medico, ma soprattutto come uomo, mi sono sempre posto delle domande su ciò che mi accadeva attorno, non limitandomi ad attendere che gli eventi seguissero il proprio andamento senza almeno tentare di indirizzarne il corso. Sicuramente questa caratteristica mi ha aiutato con i pazienti, ma è stato solo al termine della mia vita lavorativa che, forse più per curiosità e non perché ne sentissi un’effettiva esigenza, ho rivolto l’attenzione su me stesso chiedendomi per quale motivo seguitassi ad avere questa tosse. C’è voluto un po’ ma sono riuscito a scoprire da cosa dipendeva questo mio disturbo e nulla aveva a che fare con la tosse nervosa!

Cosa ha scoperto?

La prima radiografia del torace, il cui risultato è stato negativo, non ha convinto il medico radiologo che ha richiesto un approfondimento con una TC. Anche con questo esame il risultato è non stato definitivo, perciò mi sono sottoposto a una valutazione pneumologica approfondita, insieme alle prove di funzionalità respiratoria, che consistono in una serie di esami specifici per stimare la capacità polmonare, per identificare un problema di tipo polmonare. È stato solo allora che la diagnosi è stata definitiva: Fibrosi Polmonare Idiopatica. Malattia definita “rara”, perché a oggi resta ancora sconosciuta la causa del suo insorgere. Si sa però che si tratta di una malattia cronica e progressiva che interessa il tessuto dei polmoni, e caratterizzata dalla crescente sostituzione della loro normale composizione con tessuto fibrotico.

Qual è stata la sua reazione alla notizia?

Mi sono sempre sentito un “fatalista attivo”. Soprattutto nella mia vita lavorativa ho potuto costatare spesso per una situazione di chiaro risultato negativo, che non avrebbe modificato il suo esito con qualunque intervento, vale sempre la pena di un tentativo perché in qualche caso il risultato si è radicalmente mutato. E così affronto questa malattia! Quando ho scoperto di soffrirne non vi erano medicinali specifici che potessero contrastare o rallentarne il decorso, all’epoca l’unica terapia farmacologica prevedeva l’assunzione di cortisone, ma era già chiaro che gli svantaggi erano sicuramente maggiori rispetto ai benefici poiché in pochi pazienti si riscontravano miglioramenti.

Cosa fare allora?

All’epoca non vi era molta scelta se non continuare a monitorare lo stato della malattia tramite visite ed esami periodici; fortunatamente nel mio caso, la progressione avveniva lentamente. Ho confidato allora nella ricerca e poi, nel 2013, alla scoperta di nuovi farmaci, mi sono informato e affidato alla Pneumologia dell’Ospedale San Giuseppe di Milano, diretta dal dr. Harari, Centro di riferimento per le malattie rare di carattere polmonare. Da allora, sotto la supervisione della dr.ssa Caminati, ho iniziato la terapia con il pirfenidone. Dopo ormai quasi quattro anni di utilizzo, dai controlli cui sono sottoposto periodicamente, che comprendono alternativamente prove di funzionalità respiratoria e indagini radiologiche, non emergono progressioni di malattia, il che è un bene. e l’assunzione del medicinale risulta priva di effetti collaterali.

Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF)

La Fibrosi Polmonare Idiopatica è la malattia respiratoria rara più frequente in Italia;
è caratterizzata dalla deposizione di tessuto connettivo o “cicatriziale” nei polmoni: in pratica il tessuto polmonare sano viene sostituito da quello connettivo, impedendo l’ossigenazione del sangue.

Può manifestarsi a qualsiasi età, ma è rara al di sotto dei 50 anni e la fascia di età più colpita è la sesta/settima decade. La malattia colpisce maggiormente gli uomini, in genere fumatori.

I sintomi più comuni sono tosse secca e stizzosa e mancanza di fiato lentamente progressiva (per esempio all’inizio si avverte questa sensazione mentre si corre o si fanno le scale, poi mentre si passeggia, poi durante una breve camminata). A questi possono accompagnarsi febbricola e stanchezza.

La diagnosi

L’esame obiettivo polmonare è molto utile perché all’auscultazione polmonare (quando il medico appoggia sul torace il fonendoscopio) si avvertono i rantoli crepitanti, rumori tipici delle patologie fibrosanti polmonari. Per la diagnosi e soprattutto, la valutazione della compromissione funzionale, sono di grande aiuto le prove di funzionalità respiratoria che permettono di valutare la capacità respiratoria. Nei pazienti con IPF si osserva un deficit restrittivo, vale a dire una riduzione armonica di tutti i volumi polmonari. Per valutare l’entità del danno polmonare è utile anche l’emogasanalisi arteriosa, che permette di valutare lo stato di ossigenazione e di anidride carbonica presenti nel corpo e il test del cammino.

La TAC torace ad alta risoluzione può evidenziare un quadro tipico della malattia e può consentire una diagnosi clinico-radiologica in assenza di biopsia, esame a cui si deve ricorrere nei casi con quadro TAC torace atipico.

Le cure

Fino a qualche anno fa le persone colpite da fibrosi polmonare idiopatica venivano curate con farmaci a base di cortisone (che riduce l’infiammazione che può essere presente a livello polmonare). Solo una piccola percentuale di malati, però, traeva giovamento da queste cure, probabilmente quei pazienti che non erano affetti dalla vera fibrosi polmonare.

Fortunatamente la ricerca e gli studi in questo campo sono notevolmente aumentati portando alla recente approvazione di due farmaci (pirfenidone e nintedanib) che hanno dimostrato di rallentare la progressione dell’IPF.

Entrambi i farmaci hanno dimostrato un buon profilo di tollerabilità anche con l’assunzione a lungo termine.

 

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