Mazzola, intervista a cuore aperto
Alessandro Mazzola è il nuovo direttore della Cardiochirurgia dell’IRCCS MultiMedica.
Un vero top player. Non sui campi di calcio, come l’omonimo campione neroazzurro, ma in sala operatoria. Oltre 5600 gli interventi al suo attivo come primo operatore e davvero completa la casistica trattata, dalla cardiopatia ischemica alle cardiopatie valvolari, dalla patologia aortica alle cardiopatie congenite, tumori cardiaci, trapianti e altro ancora.
Prof. Mazzola, il suo curriculum è un’enciclopedia di patologie cardiache. Potendo scegliere, qual è l’area di intervento che predilige?
Gli interventi di rivascolarizzazione miocardica posso ormai considerarli di routine, poiché sono i più richiesti. Nutro però anche grande interesse per la la chirurgia conservativa della mitrale e dell’aorta.
Ovvero?
Partiamo dal’aorta, che già nel nome racchiude la portata della sua funzione. Esso, infatti, origina dal verbo greco “aeiro” che significa “alzare”. E, in effetti, il sangue è in un certo senso “sollevato” verso l’alto dal ventricolo cardiaco ed entra così nella circolazione attraverso proprio la radice aortica, che, attraverso collegamenti collaterali, lo porta poi a cuore, cervello, midollo spinale, fegato, pancreas, reni, tubo gastroenterico, arti superiori e inferiori. Si capisce quindi l’importanza della salute dell’aorta per il buon funzionamento di tutti i nostri organi.
Ma può capitare che, per varie ragioni che non è il caso qui di elencare, l’aorta si ammali; di patologia aneurismatica, per esempio, oggi sempre più diffusa.
I trattamenti possibili hanno subito una notevole evoluzione nel tempo. Si pensi, per esempio, alla patologia dell’arco aortico, in passato curata solo dal Cardiochirurgo, da qualche anno trattata invece con approccio multidisciplinare, in collaborazione con il Chirurgo Vascolare con tecniche ibride che prevedono la combinazione di chirurgia tradizionale e procedure endovascolari che non implicano incisioni chirurgiche.
E le patologie che interessano le valvole?
Le malattie delle valvole del cuore sono caratterizzate da un danno o un difetto in una delle quattro valvole cardiache: mitrale, aortica, tricuspide o polmonare. Le valvole mitrale e tricuspide controllano il flusso di sangue tra atri e ventricoli (le camere superiori e inferiori del cuore). La valvola polmonare controlla il flusso di sangue dal cuore ai polmoni, e la valvola aortica regola il flusso di sangue tra il cuore e l’aorta, e quindi dei vasi sanguigni al resto del corpo.
Le valvole mitrale e aortica sono quelle più frequentemente affette da patologia e di conseguenza le più trattate. Le valvole normalmente funzionanti assicurano che il sangue scorra in una sola direzione. Nelle cardiopatie valvolari, le valvole diventano troppo strette e indurite (stenosi) per aprirsi completamente, o non sono in grado di chiudersi completamente (insufficienza). Una valvola stenotica ostacola il flusso di sangue, mentre una valvola insufficiente consente al sangue di ritornare nuovamente nella camera dalla quale era uscito. La patologia delle valvole cardiache oggi può essere trattata mediante interventi chirurgici tradizionali che possono essere riparativi oppure sostitutivi, mediante l’impianto di protesi valvolari. Si può ricorrere anche a un approccio transcatetere (TAVI o MitrClip), che evita l’uso della circolazione extracorporea e può essere realizzata attraverso una piccola incisione chirurgica inguinale o toracotomica.
Quali sono i criteri di scelta dell’intervento da eseguire?
Il criterio è uno solo: ciò che è meglio per il paziente. Sembra un’ovvietà ma le assicuro che non lo è. Oggi abbiamo a disposizione un ricchissimo menu di possibilità: trattamenti farmacologici, interventi miniinvasivi, la robotica e la chirurgia tradizionale a cuore aperto. Solo la valutazione collegiale può determinare quale sia la strada giusta da prendere per quel singolo paziente. Per questo la logica dipartimentale adottata in MultiMedica è la più appropriata, perché consente una reale condivisione multidisciplinare caso per caso.
Quando la chirurgia “tradizionale” risulta necessaria?
Le rispondo con una domanda. Qual è la chirurgia “tradizionale”?
Come le dicevo, la figura del cardiochirurgo, solo al tavolo operatorio, è ormai morta.
Oggi i “chirurghi del cuore” sono, e saranno sempre più, degli esseri ibridi: un po’ cardiologi, un po’ radiologi interventisti, un po’ cardiochirurghi.
Se, con la sua domanda, si riferisce agli interventi a cuore aperto potrei dirle che la chirurgia è indicata in presenza di sintomi di scompenso cardiaco quando offre al paziente il migliore risultato con il più basso rischio. Anche la presenza di un’insufficienza mitralica severa diagnosticata con l’ecografia, in assenza di sintomi, può essere sufficiente a consigliare un intervento a condizione di eseguire un intervento di riparazione della valvola.
Ma tengo a sottolineare ancora una volta che solo una valutazione in équipe allargata, che includa non solo medici specialisti ma anche il medico di medicina generale e a volte i familiari, può determinare l’approccio terapeutico più corretto.
Cosa consiglierebbe a un giovane laureato in Medicina interessato alla specializzazione in Cardiochirurgia?
Di lasciar perdere a meno che non sia mosso da passione e determinazione e abbia voglia di fare fatica. La nostra è una strada in salita.
Un famoso cardiochirurgo della Mayo Clinic, Dwight Mc Goon, nell’introduzione al suo testo di Cardiochirurgia “Cardiac Surgery”, paragona il cardiochirurgo ad un salmone che, nel periodo della riproduzione. risale il fiume contro corrente, questo per sottolineare la fatica e la determinazione che sono necessarie per intraprendere questo lavoro.
Sottoscrivo.