Una malattia con la C
Una svolta terapeutica epocale per sconfiggere una malattia silenziosa, scoperta solo 25 anni fa,come l’epatite C.
“Il mio papà ha una malattia con la C”: con questa frase una bambina apre uno spot pubblicitario, trasmesso di recente in tv, per introdurre e sollevare il nostro interesse sull’epatite virale da virus C, una malattia molto diffusa della quale si sa e si parla poco.
La conosciamo poco
2 italiani su 3, infatti, la conoscono poco o per niente, nonostante nel nostro Paese l’epatite C interessi circa 1.000.000 di persone. Quasi nessuno sa che si manifesta senza sintomi evidenti.
Lo spot fa parte di una campagna nazionale di informazione e sensibilizzazione supportata dal Ministero della Salute e patrocinata dall’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF), dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) e dall’associazione di pazienti EpaC. Lo scopo è quello di invitare l’opinione pubblica ad affrontare una malattia virale che ora, a 25 anni dalla sua scoperta, può essere guarita in una percentuale altissima, oltre l’80-90% dei pazienti.
Una speranza di cura
“Dal 2014 l’avvento di nuovi farmaci per il trattamento dell’epatite cronica C ha rappresentato un unicum perché le nuove molecole sono da considerare una svolta terapeutica epocale nello sconfiggere questa malattia. E nel 2015 il cosiddetto arsenale terapeutico si è ulteriormente ampliato e dopo l’introduzione di Sofosbuvir, il farmaco definito dai media di tutto il mondo (a volte in modo esagerato) “miracoloso”, sono ora disponibili nuovi principi dai nomi difficili (Simeprevir, Daclatasvir, Ledipasvir, Ombitasvir) altrettanto efficaci e sicuri; altri ancora entreranno presto in scena” ha sottolineato la Prof.ssa Maria Grazia Rumi, Direttore dell’Unità di Epatologia dell’Ospedale San Giuseppe/Università degli Studi di Milano.
Perché è importante curarla
Facendo un passo indietro, solo per capire meglio l’importanza di queste terapie, l’infezione da virus C è a tutt’oggi un significativo problema sanitario perché cronicizza nel 70% dei soggetti che si infettano; può evolvere in cirrosi e nelle sue complicanze, fra cui l’epatocarcinoma, riduce le aspettative di vita dei pazienti. Ciò è particolarmente vero in presenza di altre frequenti condizioni che accelerano la progressione del danno epatico, come steatosi, abuso alcolico o diabete.
Le prime terapie
Per oltre due decenni, dal 1989, anno dell’identificazione del virus, ad oggi, l’unica possibilità di cura per i pazienti infetti era basata sull’impiego di interferone, somministrato in monoterapia fino al 2011 e successivamente in combinazione con la ribavirina.
“La cosiddetta duplice terapia antivirale si traduceva in tassi di guarigione di circa il 40-50%, ma con importanti differenze a seconda del tipo di virus C, della carica virale e soprattutto del grado di fibrosi. Infatti, i pazienti con malattia avanzata, più bisognosi di bloccare l’infezione, erano quelli con minore probabilità di guarigione, non superiore al 25-30% – ha chiarito la prof.ssa Rumi – Entrambe le sostanze portavano gravi effetti collaterali, quali febbre, stanchezza, depressione, anemia, secchezza delle mucose, manifestazioni cutanee. L’interferone inoltre aveva un effetto inibitore sul midollo osseo, con il rischio di indurre significative riduzioni del numero di globuli bianchi e di piastrine nel sangue. Di conseguenza era limitato l’utilizzo proprio nei pazienti con maggiore necessità di guarigione, cioè i cirrotici, che per effetto della malattia hanno un ridotto numero di globuli bianchi e piastrine”.
Stop all’interferone
Oggi la terapia per il paziente HCV-positivo è in grado di assicurare la guarigione dall’infezione nella quasi totalità dei casi senza più l’uso di interferone, con trattamenti somministrati solo per via orale, di breve durata, con scarsi effetti collaterali e quindi applicabile anche a malati con cirrosi.
C’è però un risvolto negativo
“Il vero limite all’accesso alle terapie innovative è il loro costo elevato, non sostenibile da parte dei Servizi Sanitari – ha evidenziato Rumi – Per questo motivo AIFA ha promosso un tavolo tecnico costituito da rappresentanti delle istituzioni, clinici esperti e associazioni di pazienti allo scopo di individuare i pazienti prioritari da avviare alla terapia in base al criterio di urgenza clinica, garantendo la sostenibilità del sistema”.
Individuate le categorie da trattare con urgenza
Le categorie cliniche con urgenza al trattamento, in questa prima fase, sono i pazienti in lista di trapianto e con recidiva di epatite dopo trapianto, i pazienti con cirrosi o con fibrosi avanzata e i pazienti con gravi manifestazioni extra-epatiche.
Questa strategia prevede quindi di trattare i pazienti con danno epatico significativo e nei quali è previsto un beneficio clinico rilevante, per procedere poi progressivamente a trattare gli altri soggetti, con malattia meno grave.
La strada che porta alla sconfitta definitiva dell’epatite C è ancora lunga e faticosa ma gli strumenti per farlo sono nelle nostre mani e un lavoro costante ci permetterà di vincere la guerra.