COVID-19 in gravidanza: quali effetti sul nascituro?
La malattia da Coronavirus Covid-19, anche nota come Sindrome Respiratoria Acuta Grave da Coronavirus-2 (SARS-CoV2), è una patologia che ha avuto esordio nel 2019 in Cina e successivamente si è diffusa globalmente. Nel marzo 2020 è stata ufficialmente definita “pandemia” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. A livello planetario, ad oggi, si contano oltre 32 milioni di soggetti contagiati e più di 1.000.000 di decessi, ad essa direttamente correlabili.
Nel corso di epidemie infettive di qualsiasi origine le donne gravide rappresentano una popolazione ad alto rischio, soprattutto per i fisiologici cambiamenti a carico del loro sistema immunitario. Per esempio la naturale riduzione dell’efficienza a carico del sistema T-helper 2 rende le gravide più vulnerabili alle infezioni virali.
Per quanto concerne il Covid-19 i dati a livello mondiale confermano che le gestanti contagiate necessitano più facilmente di ospedalizzazione e, per via della non rara compromissione della funzionalità respiratoria, di ricovero nelle Unità di Terapia Intensiva. Non sembra, invece, differente il tasso complessivo di mortalità, se paragonato alla normale popolazione affetta.
In ambito pediatrico, però, non sono purtroppo disponibili informazioni altrettanto dettagliate, sia che si prenda in considerazione la trasmissione diretta (cosiddetta “verticale”), sia il contagio postnatale. Tuttavia analizzando la letteratura mondiale qualche dato comincia ad emergere.
Non sono, ad oggi, descritte malformazioni congenite correlabili all’infezione da Coronavirus, così come il tasso di abortività non sembra essere differente da quello della popolazione normale. Una lieve riduzione del peso del nascituro rispetto alla norma è stata riportata in alcuni studi, ma sembra che possa essere correlata più con il comportamento alimentare della gestante, afflitta dall’inappetenza riscontrabile in corso di qualunque infezione, che secondaria a un effetto diretto del virus sul feto.
La gravità del quadro clinico e la compromissione respiratoria materna, invece, possono influenzare il “timing” del parto. Sebbene, infatti, lo stato di positività al COVID-19 non sia un’indicazione al parto operativo, in corso di pandemia è normalmente segnalato l’aumento del tasso di cesarei. Sono, anche descritti casi di nascita pretermine dovuti o alla necessità di fornire l’adeguata assistenza intensiva alla madre, o come effetto della scelta di indurre più precocemente il parto, temendone una evoluzione in senso peggiorativo.
Il passaggio diretto del virus attraverso la placenta sembra sia un’evenienza piuttosto rara, la letteratura, infatti, ne riporta, attualmente, un numero estremamente esiguo di casi. Il Centro per il Controllo delle Malattie americano (CDC, Atlanta, USA), peraltro, non ha palesato limitazioni, per le donne Covid positive asintomatiche, riguardo alle modalità di clampaggio del cordone ombelicale o al contatto “pelle a pelle”. Si pensa, invece, che l’infezione possa avvenire più facilmente durante il periodo postnatale, principalmente attraverso le goccioline respiratorie (droplets) rilasciate dalla madre o da altri operatori sanitari positivi. Per tale ragione viene strettamente consigliato, al personale che assiste il parto e alle madri, di mantenere la mascherina chirurgica correttamente posizionata, ogni qual volta prendano in braccio, allattino o si avvicinino al bambino.
L’allattamento al seno non solo è permesso, ma, per quanto possibile, raccomandato. Ciò in funzione del fatto che, ad oggi, non è dimostrato il passaggio del virus nel latte. Nello stesso, invece, sono stati trovati gli anticorpi antivirali, che non si esclude possano avere un effetto protettivo sull’infezione neonatale. Ovviamente l’unica limitazione a tale pratica riguarda le condizioni cliniche della puerpera, per cui l’allattamento risulta possibile nelle donne asintomatiche o in quelle che presentano sintomi lievi, senza interessamento respiratorio. Se il bimbo non può essere direttamente attaccato al seno, è comunque possibile somministrargli il latte materno spremuto, mediante poppatoio senza che sia necessario pastorizzarlo.
Nei pochi casi riportati di trasmissione diretta di SARS-CoV2, il decorso è stato quasi sempre asintomatico. Solo raramente sono stati riscontrati quadri aspecifici e privi di caratteristiche atte a differenziarli dalle più comuni infezioni. Sono principalmente riportati: letargia, dispnea lieve o moderata senza la presenza della tosse, discromie cutanee e, talvolta, febbre. Sono stati anche descritti, sia pure con minore frequenza, l’interessamento addominale con vomito e distensione gastrica, talvolta equiparabili all’ileo paralitico; molto raramente è stata segnalata la trombocitopenia.
Il quadro clinico generale, invece, cambia se si considerano i sintomi dei soggetti che hanno contratto il Covid-19 successivamente al parto, solitamente al domicilio da un familiare infetto. La febbre è spesso presente e anche la tosse viene segnalata con maggiore frequenza. L’apparato digerente, se coinvolto, manifesta maggiormente diarrea e alvo irregolare, così come sono segnalate spesso astenia e letargia. Tali situazioni, però, non sembrano avere gravi effetti sulla salute del neonato, salvo sporadiche eccezioni, tanto che l’infezione non aumenta il rischio di morte. La popolazione di cui trattiamo, infatti, sembra essere poco suscettibile a complicanze quali trombosi e insufficienza multiorgano che caratterizzano gli adulti.
Alla luce, quindi, delle conoscenze fino ad oggi disponibili, l’infezione da SARS-CoV2 contratta in gravidanza, fatte salve le condizioni della madre che, se gravi, potrebbero inficiare il completamento della gestazione, non sembra avere effetto teratogeno o abortivo sul feto. Molto raramente il virus viene trasmesso al nascituro e, nel caso ciò avvenga non sembra pregiudicarne l’outcome. Più frequente, invece, sembra essere la possibilità di una trasmissione postnatale, per la quale non si smette di sottolineare l’importanza della prevenzione, attuata dai genitori, dagli eventuali conviventi e da tutti coloro che, per qualsivoglia ragione, potrebbero avere contatti ravvicinati con il bimbo. Si raccomanda, quindi, l’uso della mascherina, la sanificazione degli ambienti in cui il piccolo vive e soggiorna e il lavaggio delle mani, da attuarsi sempre prima di toccare il neonato.
Dr. Claudio Migliori , Direttore dell’Unità di Neonatologia, Ospedale San Giuseppe