Tumore alla prostata
Se anziché un urologo, fossi un paziente, pur di buon livello culturale, sono certo non riuscirei a raccapezzarmi su quanto è stato detto e si dice in merito alla diagnosi precoce ed al trattamento del cancro della prostata.
Ma come? La diagnosi precoce viene abitualmente caldeggiata per molte neoplasie e, in riferimento al cancro della prostata, Richard Ablin, lo scopritore del PSA, definisce lo screening di massa di tale malattia una “disastro della salute pubblica” quando, ogni anno, negli Stati Uniti, trenta milioni di uomini si sottopongono a tale studio!?
Ebbene sì, la situazione sta proprio così a causa della inadeguata informazione dei pazienti sulle particolari e forse uniche caratteristiche di questa malattia.
I malati, ma anche probabilmente i loro medici curanti, hanno idee poco chiare sulle caratteristiche biologiche di una forma morbosa che, intorno ai sessanta anni è presente in oltre metà dei soggetti ma che è causa di morte in non più del 6% degli individui .
Deve far meditare il fatto che lo screening di massa, se non per i soggetti di razza nera o per coloro che hanno un famigliare affetto da cancro di prostata, non è proposto da alcuna Società scientifica al mondo.
Ciò per il fatto che, per salvare un solo soggetto da tale malattia, bisogna studiarne 1400 e trattarne (con chirurgia o radioterapia) almeno una quarantina!!
Come ebbi modo già di scrivere in passato, proprio su queste pagine, affermare genericamente che il tal soggetto è affetto da cancro della prostata è come dire che ha un felino in casa ma, come intuibile, il concetto è estremamente vago in quanto una cosa è avere sotto il tavolo da pranzo un gatto, un’altra una pantera nera!
Analogamente, un carcinoma della prostata presenta rischi per il malato completamente differenti a seconda delle caratteristiche biologiche della malattia.
In una situazione tanto variegata e complessa, acquisisce importanza fondamentale il rapporto medico-paziente ed un attento confronto sul fondamentale valore rappresentato dalla qualità della vita di quel particolare soggetto; la terapia infatti dovrebbe essere pensata come un abito su misura per ogni singolo individuo.
Le complicanze più frequenti dell’intervento chirurgico sono la incontinenza urinaria e la impotenza sessuale. E’ facilmente intuibile che l’impatto di tali effetti collaterali, varia da soggetto a soggetto soprattutto se si tiene conto che tale rischio dovrebbe essere commisurato alla aggressività biologica della malattia.
A confondere ulteriormente le idee, sia ai pazienti che ai loro medici curanti, mancava solo l’utilizzo, nella pratica clinica quotidiana, del Robot i cui risultati clinici, purtroppo, non sono così brillanti come si vorrebbe far credere.
A testimonianza di ciò, fanno riflettere le parole di U. Studer, urologo svizzero di fama mondiale, che ha scritto che il paziente, prima di scegliere la chirurgia robotica piuttosto che quella a cielo aperto,deve scegliere l’urologo del quale ha la maggior stima e fiducia!!
Parlando di diverse tecniche terapeutiche, ha un ruolo di primo piano la radioterapia che si addice sia quale trattamento di prima istanza, in alternativa alla chirurgia, che come terapia di salvataggio nei pazienti che incorrono in una progressione di malattia dopo chirurgia radicale.
In sintesi, il concetto dominante dovrebbe esser quello di non dimenticare mai che, noi medici, curiamo pazienti e non casi clinici per cui ciò che può essere ideale per un malato, può non esserlo per un’altro, con analoga forma morbosa.
Da ultimo, età e comorbidità sono altri parametri essenziali che non possono essere considerati marginali nella decisione di quale possa essere, condizionata dal nostro intervento, la qualità della vita futura di un paziente che ha già avuto il trauma di una diagnosi di malignità.