Psicofarmaci in gravidanza, accortezze per una buona salute mentale e fisica
“Pronto, Dottoressa… buongiorno… sto prendendo degli antidepressivi… sono due anni che li assumo, sono in gravidanza, mi hanno detto di sospenderli… in gravidanza bisogna tutelare il nascituro, la mamma non deve assumere niente”.
Spesso mi arrivano telefonate per un primo appuntamento di questo tipo; facciamo un po’ di chiarezza.
Ogni giorno centinaia di donne affette da disturbi dell’umore o d’ansia, patologie che colpiscono donne in età fertile e che possono richiedere percorsi a lungo termine, rivolgono questa domanda al proprio medico di base, psicoterapeuta, psichiatra, ginecologo.
Fino a qualche decennio fa e ancora oggi qualche medico inesperto avrebbe risposto “non esiste soluzione: se si continuano i farmaci durante la gravidanza il bambino potrebbe nascere con malformazioni, se si sospendono può verificarsi una ricaduta”.
Uno psichiatra aggiornato ed attento alla qualità della vita ed ai bisogni dei propri pazienti deve analizzare con attenzione il problema soppesando, caso per caso, tutti i fattori di rischio.
Per ciascuna classe di farmaci e per ciascun prodotto, esiste infatti un differente indice di rischio per cui il medico, considerata attentamente la situazione, può fornire alla paziente ed al futuro padre le informazioni necessarie che consentano loro la miglior scelta.
Cosa fare?
Se la paziente che desidera avere un figlio è affetta da depressione ricorrente o da disturbi d’ansia, è necessario considerare la gravità del caso.
Se si tratta di una patologia di lieve-media entità, è opportuno programmare la gravidanza procedendo, prima, ad una graduale sospensione della terapia farmacologica (la gradualità consente di evitare le ricadute da sospensione brusca dei farmaci) e continuando poi il monitoraggio delle condizioni psico-fisiche e cliniche per cogliere i primi segni di un’eventuale recidiva intervenendo prontamente, se necessario. Si può affiancare un percorso di psicoterapia, che permetta di riscoprire le risorse personali e individuare le cause della sofferenza, in modo che la consapevolezza e la conoscenza possano essere uno strumento di cura e di miglioramento personale.
Nelle forme di moderata o grave entità è prioritario approfondire i vantaggi e gli svantaggi dell’interruzione della terapia farmacologica e, qualora si ritengano i primi minori dei secondi, si valuterà quali degli antidepressivi indicati nello specifico disturbo è gravato di minor effetto teratogeno. In questi casi è dunque importante continuare la terapia farmacologica.
Sia per alcuni antidepressivi tricicli sia per gli inibitori selettivi della serotonina (SSRI) è stato evidenziato un buon margine di sicurezza: la critica che spesso viene fatta è quella di causare malformazioni congenite; invece generalmente il rischio è equivalente a quello delle donne che in gravidanza non assumono farmaci.
Per contro, alcuni antidepressivi di più recente introduzione (venlafaxina, mirtazapina, trazodone) vanno evitati perché attualmente non sono disponibili dati sufficienti. Gli inibitori delle monoaminossidasi (MAO) sono controindicati proprio per una maggiore incidenza di malformazioni. L’uso di benzodiazepine è associato ad un aumentato rischio di malformazioni congenite nel primo trimestre di gravidanza mentre nel terzo trimestre ad una sindrome da astinenza. Per quanto riguarda le conseguenze a lungo termine, un recente studio ha segnalato che sia i triciclici, sia gli SSRI non dovrebbero provocare danni nello sviluppo del bambino, mentre non esistono studi e dati sufficienti per la valutazione degli effetti conseguenti all’uso di benzodiazepine.
Più complessa è la decisione se la paziente soffre di un disturbo bipolare. È importante in questa condizione il mantenimento di una terapia preventiva con sali di litio e/o antiepilettici, ma entrambe queste classi di farmaci sono controindicate nel primo trimestre di gravidanza in quanto possono provocare malformazioni congenite. Una particolare gravità degli episodi bipolari e un elevato rischio di ricadute può consigliare la prosecuzione di un trattamento stabilizzante anche durante la gravidanza, pur sapendo che è presente un rischio di teratogenicità che va dallo 0,1% per le anomalie cardiache allo 1-5 % per le anomalie scheletriche e spina bifida.
Nel caso di assunzione di una terapia farmacologica non consigliabile in gravidanza, prima di intraprenderne la ricerca è quindi consigliabile preventivare una consulenza psichiatrica specifica, che permetta un cambio di terapia compatibile con la maternità e senza effetti teratogeni sul feto, mantenendo un buon livello di salute mentale nella futura mamma, evitando sensi di colpa, e garantendo una buona crescita al futuro nascituro.
Qualsiasi sia la decisione presa, è sempre importante il monitoraggio dello stato della paziente, con colloqui di psicoterapia, individuali e di coppia, durante tutta la gravidanza e nel post-partum.
E dopo il parto?
In tutti i casi, subito dopo il parto, si pone un nuovo quesito: “Dottoressa, posso allattare il mio bambino?”.
Anche questa volta bisogna ascoltare, capire, valutare la situazione. Si sa che l’allattamento è un momento fondamentale per il neonato, lo protegge da malattie infettive, facilita l’assorbimento delle sostanze nutritive e sembra connesso al raggiungimento di un miglior livello intellettivo del bambino, per non parlare del benessere affettivo e del rapporto di attaccamento che si instaura tra mamma e neonato. Ma sappiamo molto bene che il post-partum è un momento delicatissimo per le donne, ancor di più per le pazienti che soffrono di disturbi psichiatrici, perché comporta un alto rischio di ricadute in questa fase delicatissima della vita che può avere conseguenze devastanti tanto per la puerpera che per il neonato.
È importante quindi mantenere e proseguire la cura farmacologica nei casi in cui il farmaco è compatibile con l’allattamento, passando all’allattamento artificiale qualora il farmaco non sia compatibile, al fine di mantenere un buon equilibrio psicofisico per la mamma.
È importante che si stabilisca collaborazione tra psicoterapeuta, psichiatra, ginecologo e pediatra per aiutare la futura madre ed il futuro padre a decidere consapevolmente quando intraprendere una gravidanza, se continuare o meno i farmaci, se ricorrere a percorsi di psicoterapia individuale e di coppia. In ogni caso la formula vincente è sempre la prevenzione e la programmazione. Programmando una gravidanza, si può preventivamente scegliere un farmaco d’eccellenza che sia compatibile con la gravidanza e l’allattamento.
Dr.ssa Barbara Pucci, Psicologa e psicoterapeuta, Unità di Ostetricia e Ginecologia, Ospedale San Giuseppe