Senza vergogna
“Spesso quello che stai vivendo tu nel momento attuale, qualcun altro lo ha già vissuto e magari superato”
La trasposizione più semplice dell’ormai adottato termine caregiver è badante, ma quando pensiamo a una o un badante, pensiamo a persone estranee che vengono retribuite per assistere una persona completamente o parzialmente disabile. Invece la traduzione letterale di caregiver è ‘colui che si prende cura’ e molto spesso si identifica in un familiare che si rende disponibile ad assistere un parente. L’esempio più immediato è il figlio per il genitore anziano; nel caso di Carlo e Emilia, è il marito che si prende cura della moglie, da qualche anno affetta dalla malattia di Alzheimer.
Carlo, com’è iniziata questa esperienza?
“È stato nel 2016 che le prime avvisaglie della malattia si sono presentate; qualche dimenticanza, la stessa domanda ripetuta più volte nell’arco di breve tempo, dei momenti di assenza, niente di eclatante o patologicamente distintivo. Anche i primi accertamenti suggeriti dal Medico curante non avevano riscontrato nulla di rilevante, ma io e le mie figlie ci accorgevamo di un costante peggioramento della situazione, così, all’inizio del 2017 ci siamo rivolti all’Unità Operativa di Neurologia dell’Ospedale MultiMedica di Castellanza e abbiamo incontrato la Dott.ssa Marta Zuffi, che oggi ne è il medico responsabile e che ha dato una definizione a quanto stava succedendo”.
La diagnosi non fu quindi una sorpresa.
“Non ti aspetti mai di ricevere una notizia del genere, pensi sempre che a te non possa succedere e la prima cosa che ti chiedi è ‘perché proprio a me?’, una domanda che mi sono fatto molte volte, soprattutto nell’immediatezza. Perché se da una parte ti è di grande aiuto la sensibilità con la quale ti viene comunicata, e la Dott.ssa Zuffi è persona di grande sensibilità, comprenderne la portata e l’incisività sulla propria vita è un’altra cosa. Le tue priorità sono in balia della progressiva perdita di contatto con la realtà del malato. Da principio dovetti ricordare a Emilia quelle che erano le nostre abitudini e attività quotidiane, in seguito l’affiancai e oggi la accudisco in quelle che sono le consuetudini quotidiane. E la domanda che sorge spontanea è: che vita è?”
E come è riuscito a rispondersi?
“Mi sono fatto un’altra domanda: ‘e ora cosa faccio?’ Mi faccio travolgere dagli eventi oppure trovo un modo per gestire questa situazione?’ Un po’ per carattere, un po’ per retaggio professionale, sono abituato ad affrontare situazioni difficili, magari di emergenza, con il supporto dei compagni di lavoro, ho cercato aiuto, materialmente e psicologicamente. Mi sono persuaso che la qualità del nostro futuro dipende anche da me; essere passivi davanti a questa malattia la rinforza. L’aiuto di cui parlo non si riferisce tanto ai bisogni principali di Emilia, per il disbrigo dei quali vengo supportato anche dalle mie figlie, ma una volta completate le incombenze quotidiane, c’è tanto altro da poter fare insieme e l’ho scoperto frequentando l’Associazione Alzheimer MultiMedica Onlus, che con le sue attività rivolte ai malati ma anche ai familiari, mi ha permesso di affrontare numerose situazioni in cui da solo, ne sono sicuro, mi sarei scoraggiato. Badi bene che è facile dirlo, altra cosa è farlo. Diventa tutto più difficile, si ha bisogno di pianificazione e di punti di riferimento, ma per quanto mi riguarda, tanto supporto l’ho trovato nel confronto con altre persone nella mia stessa situazione: il Gruppo auto-aiuto per esempio è una sorta di palestra per noi caregiver perché spesso quello che stai vivendo tu nel momento attuale, qualcun altro lo ha già vissuto e magari superato. È un piacere portare Emilia agli incontri dedicati ai malati dall’associazione, vedere come gli operatori riescono a coinvolgerla nelle attività proposte ti apre il cuore, e anche in quel momento puoi trovare spunto per gestire la quotidianità o situazioni particolari una volta a casa. Non vediamo l’ora che riprendano appieno le attività dell’associazione!”
Consiglierebbe perciò la condivisione della propria situazione invece di chiudersi nel proprio mondo?
“Assolutamente sì! Prima di tutto perché non c’è nulla di cui vergognarsi. Questa malattia colpisce alla cieca, non c’è un comportamento per il quale ci si può accusare, non ci sono rimpianti o se e ma, e non c’è neppure, o meglio non ancora, una medicina che può guarire o quantomeno migliorare la condizione patologica. C’è però la possibilità, che nel mio caso ho trovato frequentando l’associazione e confrontandomi con i suoi componenti, che siano operatori e volontari o persone nella mia stessa situazione, di gestirla e affrontarla nel miglior modo possibile.”
Associazione Alzheimer MultiMedica OnlusLa parola Alzheimer è diventata ormai di uso comune e spesso utilizzata in maniera impropria nel linguaggio quotidiano. Molte persone maturano una conoscenza della malattia approssimativa e spesso incompleta rispetto alla sua evoluzione e alle implicazioni che ne conseguono. È una malattia che può fare paura. Si assiste alla progressiva perdita di numerose funzioni cerebrali e al lento cambiamento della personalità; tutto questo spesso è difficile da accettare e comprendere per chi vive accanto al malato. La progressione di malattia è inevitabile, ma molte sofferenze dei pazienti e della famiglia potrebbero essere alleviate attraverso una miglior comprensione di quanto stia accadendo e l’introduzione di buone pratiche di gestione. Approfondire le informazioni sulla malattia, sul suo decorso e sulle terapie, aiuta ad affrontarla e progettare il proprio futuro. |