Malattie cromosomiche: l’importanza della diagnostica prenatale
Le malattie cromosomiche sono la patologia genetica più frequente al momento del concepimento e quelle che più preoccupano i genitori nel corso della gravidanza. La maggior parte di esse sfocia in aborto spontaneo precoce, non essendo compatibile con le fasi avanzate della gestazione. Nonostante questo la frequenza di anomalie cromosomiche alla nascita è abbastanza alta, calcolabile intorno al 1% delle nascite.
Il Prof. Stefano Bianchi, direttore del Dipartimento Materno Infantile dell’Ospedale San Giuseppe, ci ha spiegato quali sono come è possibile diagnosticarle.
Le alterazione cromosomiche
Le anomalie cromosomiche sono modificazioni del numero o della struttura dei cromosomi. Sommariamente possiamo classificare le anomalie cromosomiche in anomalie di numero, anomalie di struttura e anomalie “sbilanciate”, che consistono nella presenza di un pezzo in più o in meno di un segmento di cromosoma. Le più frequenti condizioni legate ad anomalie degli autosomi, cioè tutti i cromosomi tranne quelli X e Y, sono la Sindrome di Down, la Sindrome di Edwards, la Sindrome di Patau, la Sindrome di Wolf e quella di cri-du-chat. Le più frequenti anomalie dei cromosomi sessuali sono, invece, la Sindrome di Turner e la Sindrome di Klinefelter.
Le cause delle anomalie di numero dei cromosomi sono per lo più ignote. È stato dimostrato, però, che le anomalie di numero dei cromosomi sono tanto più frequenti quanto più elevata è l’età della madre al momento del concepimento: già a partire dai 35 anni si osserva un sensibile aumento del rischio di concepire bambini affetti da patologie cromosomiche come la Sindrome di Down. È inoltre noto che vari agenti, come radiazioni o sostanze chimiche, possono determinare “rotture” dei cromosomi, predisponendo quindi ad anomalie di struttura.
Villocentesi, amniocentesi e Test combinato
Si possono diagnosticare le anomalie cromosomiche durante la gravidanza con relativa precisione attraverso diversi tipi di indagini. Devono essere chiaramente distinte in indagini diagnostiche, che prevedono sempre il prelievo di cellule di origine fetale o placentare, come l’amniocentesi e la villocentesi, e in indagini di screening che forniscono una stima della probabilità che il feto sia affetto o meno da una determinata anomalia.
Partiamo dai due esami appena menzionati. La villocentesi: è un esame invasivo che consiste nel prelievo di villi coriali dalla placenta tra l’undicesima e la tredicesima settimana di gestazione. Viene effettuata per via transaddominale sotto controllo ecografico. Anche l’amniocentesi è un esame invasivo e per questo non privo di rischi. Viene effettuata a partire dalla 15° settimana di gravidanza e consiste nell’aspirazione, con un sottilissimo ago, di un campione di liquido amniotico per via transaddominale.
L’esame viene eseguito con il supporto dell’ecografia per valutare la posizione del feto e la localizzazione dell’ago. Nel liquido amniotico sono presenti cellule di origine fetali che vengono utilizzate per l’esame. Entrambi gli esami invasivi consentono di analizzare dettagliatamente i cromosomi e di ricercare eventuali alterazioni anche di singoli geni, che possono essere causa di malattie coma l’anemia mediterranea, la fibrosi cistica e molte altre. Come già detto questi esami possono provocare complicazioni importanti, come l’aborto, in circa 1 caso su 150/200.
Tra i test “probabilistici” il Test combinato è attualmente il metodo più adeguato per ottenere una stima più precisa della probabilità che il feto possa essere affetto da una patologia cromosomica ed è considerato il test di screening fondamentale. Come dice il nome, si basa sulla combinazione dei risultati di più test. Innanzitutto la Translucenza nucale, che consiste in una normale ecografia tra le 11 e le 13 settimane di gravidanza in cui si misura lo spessore dei tessuti superficiali della nuca del feto.
Questo spessore, in soggetti affetti da anomalie genetiche e malformative, risulta spesso aumentato. Questo dato viene normalmente utilizzato in combinazione con i valori emersi dal Duo test, quello sulla Gonadotropina Corionica e sulla Plasma Proteina Associata alla Gravidanza (PAPP-A), presenti nel sangue materno. La stima risulta ancora più affidabile se vengono inclusi nel calcolo, oltre l’età materna, anche altri elementi rilevabili all’ecografia, come la presenza dell’osso nasale ed il flusso del dotto venoso. Il Test combinato ha “pensionato” il Tri-test, indagine attualmente considerata superata e non è più proposta.
Esami Genetici
I nuovi esami genetici, disponibili anche all’Ospedale San Giuseppe, necessitano solo di un prelievo di sangue per fornire informazioni su possibili anomalie cromosomiche. Questi esami offrono la possibilità di analizzare il DNA fetale libero, presente nel sangue materno, già a dieci settimane di gravidanza. Dal sangue materno è possibile ottenere importanti informazioni sul feto, senza mettere a rischio la gravidanza, consentendo un’analisi diretta del materiale cromosomico del nascituro per valutare l’eventuale presenza di molte malattie genetiche.
Si tratta anche in questo caso di esami che hanno come risultato una stima della probabilità di malattia, seppure con un margine di errore molto limitato. Non si tratta quindi di test diagnostici capaci di fornire un risultato uguale a quello degli esami invasivi. In caso di risultato positivo, quindi, la madre verrà invitata a sottoporsi a ulteriori accertamenti con amniocentesi o villocentesi, che, ancora oggi, restano gli unici esami che permettono una diagnosi certa di patologia.