Osteoporosi, malattia silenziosa
L’osteoporosi è una malattia sistemica dell’osso, caratterizzata da bassa massa ossea e da un deterioramento della struttura tissutale ossea (alterazioni qualitative scheletriche nella macro e micro-archittettura), portando come conseguenza un’aumentata fragilità ossea. A sua volta la fragilità dell’osso pone a rischio per sviluppare fratture anche indipendenti da traumatismi.
La prevalenza di tale patologia aumenta con l’età passando nel sesso femminile dal 2% all’età di 50 anni a più del 25% all’età di 80 anni. In Italia si stima che circa 3.5 milioni di donne e 1 milione di uomini ne siano affetti.
La corretta definizione diagnostica è data dalla densità di massa ossea (BMD bone mineral density) che, secondo i criteri della World Health Organization (WHO), viene definita usando metodica DEXA (dual-energy X-ray absorptiometry) come la riduzione di 2.5 deviazioni standard (SD) o inferiori rispetto al valore medio per le giovani donne in assenza di patologia, da qui il T score del BMD, che se risulta inferiore a -2.5 SD è associato ad un maggiore rischio di sviluppare fratture anche spontanee.
La diagnosi di osteoporosi considera la presenza di osteoporosi primitive (con varietà giovanile, postmenopausale, maschile e involutiva o senile) e le osteoporosi secondarie.
La valutazione clinica della diagnosi di osteoporosi, oltre ad avvalersi della diagnosi strumentale, non può non considerare una serie di dati importanti, partendo dalla familiarità per osteoporosi fratturativa, dallo stile di vita (fumo, attività fisica, alimentazione), alla presenza di malattie concomitanti o passate, ed al trattamento farmacologico in atto o passato.
I fattori di rischio maggiori per quanto riguarda la diagnosi di osteoporosi post menopausale, la più frequente in termini epidemiologici, sono l’età (maggiore di 65 anni), la familiarità per severe osteoporosi, la presenza di periodi di amenorrea premenopausale (assenza di ciclo mestruale per più di 6 mesi), inadeguato apporto alimentare di calcio, fumo ed abuso alcolico. Alcuni di questi fattori di rischio sono anche rilevanti nella popolazione maschile (familiarità per osteoporosi, inadeguato apporto di calcio con l’alimentazione, fumo e alcool, oltre che una magrezza indicata come indice di massa corporea inferiore a 19 Kg/m2).
Per quanto riguarda invece l’osteoporosi secondaria, la “colpa” maggiore è da imputare all’utilizzo cronico di alcuni farmaci, tra cui i glucocorticoidi (che stimolano il riassorbimento osseo e ne riducono la neoformazione) gli inibitori dell’aromatasi e del GnRH utilizzati nelle patologie oncologiche (tumore mammella) e meno indagati anche alcuni farmaci per il diabete (pioglitazone e rosiglitazone). Bisogna inoltre considerare la presenza di malattie croniche che possono contribuire all’evoluzione dell’osteoporosi tra cui malattie endocrine (iperparatiroidismo, ipertiroidismo, diabete e più rare ipercorticosurrenalismo, iperprolattinemia, acromegalia e deficit di GH), malattie ematologiche (leucemia, mieloma, talassemia), malattie gastrointestinali (celiachia, gastrectomia ma anche by-pass gastrici, malattie infiammatore intestinali, cirrosi biliare ed epatopatie croniche), malattie reumatiche (artrite reumatoide, LES, sclerodermia), malattie renali (insufficienza renale cronica, acidosi tubulari) e malattie genetiche.
L’impatto epidemiologico di tale patologia è legato anche all’incremento delle fratture (in Italia il numero delle fratture di femore nella popolazione ultracinquantenne per anno supera le 100.000 unità, mentre le fratture vertebrali con accesso ai dipartimenti di urgenza è intorno alle 70.000 unità, dato comunque sottostimato) e la presenza di fratture purtroppo incide anche sui dati relativi al rischio di mortalità, che aumenta per le fratture di femore di 5-8 volte nei primi 3 mesi dall’evento rispetto alla popolazione generale. La diagnosi precoce è pertanto molto importante, soprattutto alla luce dei nuovi trattamenti farmacologici disponibili, e si avvale oltre che della già citata DEXA, dell’utilizzo di radiologia convenzionale (con lo scopo di valutare eventuale presenza misconosciuta di fratture vertebrali) e della valutazione biochimica dell’equilibrio fosfo-calcico, oltre alla ricerca di eventuali fattori di rischio non noti tipo distiroidismo o diabete non diagnosticato.
La patologia osteoporosi si può avvalere sia di una prevenzione legata a stile di vita adeguato con attività fisica e dieta bilanciata prescritta da centri specialistici, che di fornire supplementazioni, quando necessarie, di apporto di vitamina D e calcio (da valutare comunque in relazione all’anamnesi del paziente). Il fabbisogno di calcio con la dieta varia in relazione all’età ed alle condizioni fisiologiche presenti, passando da un minimo di 800 mg/die ad un massimo in gravidanza e/o allattamento di 1200-1500 mg/die. La principale fonte di calcio è, come noto, rappresentata dal latte ed i suoi derivati, in misura minore frutta secca e alcune verdure (cavolo, spinaci, rape) e legumi. Nella popolazione a rischio deve essere valutata anche la prevenzione delle cadute, a volte modificabili con l’approccio multidisciplinare (medico, infermiere fisioterapista, caregivers).
Le strategie di cui sopra sono comunque cardini del trattamento (oltre che della prevenzione) della malattia, ed in relazione alle differenti presentazioni della malattia possono essere integrate da terapia farmacologica specifica. Il trattamento farmacologico della malattia attualmente è di competenza specialistica ed oltre agli interventi sopracitati comprende i farmaci della categoria dei bisfosfonati, molecole come aledronato, risedronato, acido zoledronico, farmaci che hanno dimostrato una riduzione del 40-70% delle fratture vertebrali e del 40-50% delle fratture femorali, anticorpi monoclonali (bloccanti il legame tra attivatore del nuclear factor K-B ligando al suo recettore presente sugli osteoclasti come il denosumab, che ha mostrato una riduzione del 68% delle fratture vertebrali e del 40% di quelle femorali), la teriparatide (frammento 1-34 dell’ormone paratiroideo sintetico), approccio anabolico sull’osso che può essere utilizzato per 24 mesi, con riduzione delle fratture vertebrali del 65% e femorali del 53%.
Vista l’elevata variabilità della terapia disponibile, che mostra anche vincoli prescrizionali (piani terapeutici), la diagnosi ed il trattamento dell’osteoporosi deve essere gestita in ambito specialistico in stretta collaborazione con i medici di medicina generale.
MultiMedica offre nelle sue differenti strutture percorsi diagnostici-terapeutici per gestire al meglio la patologia osteoporotica, attuando in campo endocrinologico, ortopedico, oncologico e fisiatrico ogni eventuale strategia preventiva.
Dr. Cesare Berra, Responsabile Diabetologia Clinica, Dipartimento Universitario Endocrino-Metabolico, IRCCS MultiMedica