Trombosi: perché ama le donne?
Fino a pochi anni fa le ricerche epidemiologiche avevano rassicurato le donne sull’aggressività delle malattie vascolari, evidenziandone una maggiore incidenza negli uomini, e lasciando supporre che le donne fossero protette, probabilmente dagli ormoni femminili. Oggi è sempre più chiaro che le donne sono meno colpite dalle malattie vascolari fino ai 50 anni, ma con il passar degli anni perdono questo vantaggio.
Dopo la menopausa la protezione legata all’assetto ormonale viene meno, e lascia le donne esposte al rischio di incorrere in un ictus o in un infarto, spesso sottovalutato. Le arterie e le vene delle donne si ammalano quanto e come quelle degli uomini: e quando la trombosi colpisce ha una prognosi nettamente più sfavorevole. Le donne colpite da infarto o da ictus muoiono più degli uomini: forse anche per un ritardo nella diagnosi e quindi nella cura, legato alla diffusa ed errata convinzione che queste malattie nelle donne siano meno probabili. In Europa 55 donne su 100 muoiono per malattie vascolari, e 40 uomini su 100: l’ictus è nell’uomo la terza causa di decesso, nella donna la seconda. Eppure solo 13 donne su 100 considerano le malattie da trombosi come un nemico da combattere: la trombosi è invece la minaccia più grave per la qualità e per la durata della loro vita futura.
Credendo di essere protette, le donne fanno meno attività fisica, non controllano il livello del colesterolo (40% oltre i 55 anni l’hanno elevato), né la pressione (oltre i 45 anni solo metà l’ha accettabile), fumano e non vogliono smettere, sono in sovrappeso, hanno il diabete e non lo sanno.
Le donne sono diverse dagli uomini, non soltanto per l’aspetto anatomico, ma anche per le loro caratteristiche biologiche e fisiologiche: soffrono più spesso di anemia, hanno arterie più piccole che si ammalano in modo più subdolo. Gli ormoni naturali che circolano nel sangue di una donna in età fertile sono protettivi verso ogni forma di trombosi, mentre quelli sintetici (pillola, terapia ormonale sostitutiva) al contrario sono pro-trombotici. Il sovrappeso e l’obesità sono fattori di rischio per malattie da trombosi arteriosa e venosa.
Inoltre, la gravidanza e la pillola contraccettiva aumentano la trombofilia (eccessiva tendenza del sangue a coagulare) per le under 30. La gravidanza provoca un rallentamento del circolo nelle vene delle gambe, perché il progressivo e inevitabile aumento di volume dell’addome comprime le vene che riportano il sangue al cuore; gli ormoni della gravidanza alterano l’equilibrio fra fattori pro e anti-coagulanti. Questo disordine può, in alcune donne che hanno una familiarità per trombosi o hanno un sistema della coagulazione già tendente a coagulare troppo, provocare una trombosi, di solito nelle vene delle gambe, a volte in altri organi. La trombosi comunque anche in gravidanza può essere curata, con farmaci che non oltrepassano la barriera placentare (EPBM) e non raggiungono il feto.
Le donne inoltre sono soggette a sviluppare un’insufficienza venosa cronica agli arti inferiori con vere e proprie vene varicose con una incidenza 3-4 volte maggiore che nel sesso maschile.
I contraccettivi ormonali possono favorire la trombosi. Su 1000 donne che li utilizzano 5 rischiano di avere una trombosi: essa si può manifestare in qualunque distretto, più spesso quello venoso. Ogni donna può ridurre il rischio di trombosi correlato, sapendo, per esempio, che il fumo di sigaretta quadruplica il rischio di trombosi venosa in giovani donne che fanno uso della pillola anticoncezionale.
La triade di Virchow descrive le tre grandi categorie di fattori di rischio che si ritiene contribuiscano sinergicamente alla trombosi: l’ipercoagulabilità del sangue, le variazioni emodinamiche (il rallentamento di flusso, la stasi, le turbolenze come nelle vene varicose) e le disfunzioni dell’endotelio della parete del vaso sanguigno. I fattori della coagulazione del sangue (da I a XIII) sono proteine che servono a formare un coagulo che ha la funzione di arrestare un’emorragia o di guarire una ferita; ogni fattore attiva “a cascata” quello successivo, ma nello stesso tempo allerta gli anti-coagulanti, che debbono impedire una coagulazione eccessiva.
Se i fattori pro-coagulanti sono imperfetti o troppo abbondanti, o se gli anticoagulanti sono scarsi o malfunzionanti, il sistema può sfuggire al controllo e produrre un eccesso di coagulazione, che porta alla formazione di un trombo. Un fattore V mutato (mutazione Leiden) può non essere in grado di allertare il sistema degli anticoagulanti, soprattutto in concomitanza con fattori di rischio interferenti, come la pillola, il fumo, la gravidanza, la circolazione venosa rallentata: la probabilità di trombosi in donne con la mutazione è più alta che non in donne con un fattore V normale. Circa 2 donne su 100 hanno questa mutazione nella popolazione generale, ma non tutte debbono per forza sviluppare una trombosi: la mutazione non è una malattia, è un difetto e provoca malattia solo se si accompagna ad altri fattori di rischio. Quanto detto per il fattore V Leiden vale anche per la mutazione della Protrombina.
La Metilen Tetra Hidro Folato Reduttasi o MTHFR è un enzima, uno spazzino che deve eliminare dal sangue l’eccesso di omocisteina, derivato dalla metionina che assumiamo con il cibo. Se lo spazzino è difettoso (mutato), oppure non ha sufficiente “carburante” a disposizione (vitamine B) può non riuscire a far bene il suo lavoro: i livelli di omocisteina nel sangue aumentano con un conseguente aumento del rischio trombotico. Se l’omocisteina si mantiene bassa, anche in presenza di un enzima difettoso, il rischio di trombosi è uguale a quello di coloro che non hanno il difetto. Elevati livelli di omocisteina possono essere normalizzati con l’utilizzo di vitamine del gruppo B. L’omocisteina sembra aumentare nelle fumatrici.
Con il passare degli anni la parola d’ordine diventa prevenire. Con l’invecchiamento, naturale, inevitabile e progressivo, la pressione del sangue può aumentare: fra i 30 e i 45 anni 25 donne su 100 sviluppano ipertensione. Se viene identificata presto, potrà essere corretta con interventi sullo stile di vita senza ricorrere ai farmaci: consumando meno sale, riducendo il peso, eliminando il fumo, aumentando l’attività fisica.
Negli ultimi 20 anni in Italia le donne fumano di più: 24 su 100. Non a caso si sono registrati più casi di trombosi coronarica nelle donne. Il fumo danneggia tutti gli organi, le arterie, i denti, le corde vocali e aumenta il rischio di sviluppare il diabete. Inoltre, riduce la riserva di ossigeno necessaria a tutte le cellule, alle fibre muscolari, al cuore, al cervello, a tutti gli organi e provoca l’aumento di alcuni fattori procoagulanti nel sangue (VII, VIII, fibrinogeno).
Un recente studio ha sottolineato che le donne sotto stress, scontente ed oberate di impegni e di responsabilità (soprattutto se con bassi livelli di autostima) corrono il rischio di andare incontro a depressione: questo stato costituisce un ulteriore fattore di rischio.
In conclusione, penso che oggi essere donna sia una sfida continua con gli impegni sociali, professionali e familiari; questo mette a dura prova l’universo femminile che come abbiamo detto è predisposto alla trombosi. Ma se la “trombosi ama le donne”, è anche vero che si può far fronte a questa condizione se “le donne amano se stesse” e la propria salute.
Dr. Massimiliano Martelli, Direttore U.O. di Chirurgia Vascolare, IRCCS MultiMedica