Un angelo di specialista
Come un serbatoio, la vescica è un organo dell’apparato urinario che ha il compito di raccogliere l’urina proveniente dai reni attraverso i condotti degli ureteri, fino a quando non viene eliminata all’esterno grazie al canale dell’uretra, l’ultimo tratto delle vie urinarie. La vescica è costituita da diversi strati di tessuto, composti da una parete muscolare esterna e da un rivestimento interno epiteliare, chiamato urotelio. Talvolta però, le cellule che rivestono questa superficie interna possono crescere in modo anomalo.
Classe 1963, temperamento energico e schiettezza da vendere, la signora Elena N. è una mamma orgogliosa dei suoi quattro figli e sei nipoti. Usa il sorriso e l’ironia per smorzare l’amaro racconto dell’esperienza più dolorosa che ha vissuto: la lotta contro il cancro alla vescica.
Quali sono state le prime avvisaglie?
Un semplice bruciore durante la minzione, nulla di più. Inizialmente, il medico di base ha pensato ad un’infiammazione delle vie urinarie, una condizione molto frequente nel genere femminile ma, nonostante il trattamento farmacologico, il bruciore non passava. Così mi sono recata all’Ospedale San Giuseppe, dallo stesso ginecologo che in quel periodo seguiva la gravidanza di mia figlia, il quale mi ha prescritto un’urinocoltura e un tampone vaginale. Esito alla mano, gli esami erano entrambi negativi e, a questo punto, il dottore mi ha suggerito di rivolgermi ad un urologo.
Come è arrivata alla diagnosi?
Era la primavera del 2017. L’ecografia vescicale è stato l’accertamento diagnostico che ha individuato la malattia. Durante questo esame, il medico ha visualizzato un’irregolarità significativa del contorno della vescica e la presenza di un polipo, indice di un sospetto carcinoma, che lo ha indotto a farmi eseguire una cistoscopia, per effettuare una biopsia ed esaminare il campione biologico in laboratorio. Dopo 15 giorni sono stata convocata in ospedale. La diagnosi è stata scioccante: ero affetta da un tumore maligno alla vescica, uno dei più invasivi. In quel momento ho provato una miscela di sentimenti devastanti, proprio perché mi sentivo incapace di accettare la malattia e tutte le sue ineluttabili conseguenze. Accertata la presenza del tumore, l’urologo mi ha comunicato la necessità di essere sottoposta ad un intervento di cistectomia radicale, per evitare la diffusione delle cellule tumorali e lo sviluppo di metastasi. È in questa circostanza che ho conosciuto il dr. Angelo Naselli, co-primario dell’Unità Operativa di Urologia dell’Ospedale San Giuseppe, un eccellente professionista interessato alla persona, prima che al paziente, al quale mi sono affidata completamente: il mio Angelo di nome e di fatto!
Dr. Naselli, quale malattia ha colpito la signora e in cosa consiste l’intervento di cistectomia radicale?
La signora era affetta da una variante molto rara di neoplasia vescicale che si chiama Carcinoma Uroteliale di tipo plasmacitoide in stadio T3. La prognosi era assolutamente pessima. Dopo revisione del caso collegiale con i colleghi dell’Oncologia, è stato deciso di eseguire un intervento radicale, e di effettuare la chemioterapia in un secondo tempo. È stata sottoposta ad intervento di cistectomia radicale che prevede l’asportazione della vescica, dell’utero e delle ovaie, con parziale risparmio della vagina, al fine di preservare l’attività sessuale data l’età della paziente, e la ricostruzione della vescica con un piccolo segmento di intestino ileale. La neovescica è stata alloggiata nella sede della pelvectomia utilizzando un flap di peritoneo ricavato durante la cistectomia e fissato alla parete anteriore della vagina, al fine di prevenire l’incontinenza urinaria e la ritenzione urinaria cronica.
È stata pertanto utilizzata una tecnica di intervento peculiare (la cistectomia nella donna non è frequente e di solito non si ricostruisce la neovescica per problematiche di incontinenza). Dopo l’intervento, che ha confermato il tipo di tumore, la paziente ha eseguito una chemioterapia adiuvante. Al raggiungimento della buona qualità di vita attuale della paziente (e della normalità degli esami di controllo, che escludono recidiva) ha certamente contribuito la tecnica chirurgica.
Elena, come ha trascorso la degenza in ospedale?
A livello emotivo, nei primi giorni dopo l’operazione ho sofferto la mancanza dei miei familiari vicino, dai quali traevo la mia forza di volontà per la guarigione; purtroppo, il regolamento non consentiva la compresenza di più persone in reparto, però io faticavo ad accettarlo perché non volevo restare sola, mi sentivo vulnerabile e fragile come una bambina. Nonostante la difficoltà iniziale, durante la mia degenza in ospedale lunga un mese, posso garantire che ho trovato accanto a me persone meravigliose, in primis il dr. Naselli che veniva sempre a trovarmi, era così pacato e scrupoloso, sapeva come mettermi a mio agio e mi tranquillizzava con le sue carezze protettrici.
Tutte le notti soffrivo di insonnia, ma ogni mezz’ora ricevevo la visita del personale infermieristico, che aveva tante premure nei miei riguardi, adoperandosi per farmi stare comoda, visto che ero bloccata a letto, senza alcuna autonomia. Devo essere onesta, quando la tua vita è in bilico, è molto importante potersi affidare ai giusti specialisti e qui all’Ospedale San Giuseppe ho trovato delle persone umanamente deliziose e professionalmente impeccabili.
Com’è cambiata la sua vita?
Il fumo di tabacco è il principale fattore di rischio per il tumore alla vescica, così ho smesso di fumare da un momento all’altro, senza rimpianti e rivolgendomi alla sigaretta, con tono perentorio, le ho detto: “Maledetta, stavolta vinco io”. Non lo nego, ogni tanto mi vengono momenti di sconforto, per esempio, prima di ogni esame di controllo, mi domando sempre: “Chissà se il mostro è tornato?” e convivo con uno stato di ansia e costante preoccupazione, temendo una recidiva. Fortunatamente, durante questo terremoto emotivo, posso contare sul supporto dei miei familiari, non solo in virtù del loro affetto, ma anche in relazione alla loro capacità di farmi accettare ed elaborare il trauma.
Pur nella sua incertezza e fragilità, la vita è veramente sorprendente e disegna nuovi percorsi e nuovi intrecci: con mia grande sorpresa, durante un controllo in ospedale, un laureando della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Milano si è timidamente avvicinato a me, chiedendomi il permesso di scrivere la sua tesi di laurea sul mio caso clinico. Così, mentre quel giovane studente sta iniziando a scrivere il primo capitolo del suo elaborato, io volto pagina e inizio a scrivere un nuovo capitolo della mia vita.