Acalasia esofagea: quando deglutire è un problema
Cenni storici
Lo spasmo della giunzione esofago-gastrica è stata descritta per la prima volta nel 1672, da Sir. Thomas Willis, medico inglese, famoso per i suoi studi nell’ambito della neurologia ed in particolare nello studio dell’anatomia del cervello (la vascolarizzazione interna dell’encefalo prende proprio il suo nome, circolo di Willis). Willis descrisse uno spasmo a livello del passaggio tra esofago e stomaco (cardias) che impediva il transito degli alimenti che quindi, ristagnando nell’esofago, ne determinavano la dilatazione. Il trattamento proposto fu quello di eseguire delle dilatazioni per permettere il normale transito alimentare. Bisogna però aspettare 241 anni prima di arrivare al trattamento chirurgico valido ancora oggi. Il 14 aprile 1937 un chirurgo tedesco, Ernest Heller, esegue con successo la prima esofago-miotomia del cardias intuendo che la causa della malattia era l’incapacità a rilassarsi dello sfintere esofageo inferiore (un muscolo). Fu da quel momento che venne introdotto il termine “acalasia” (dal greco “mancato rilasciamento”). Nel 1962 un altro chirurgo, Dor, associò alla miotomia il confezionamento di una plastica anti-reflusso per prevenire il reflusso post-operatorio.
Per arrivare ai giorni nostri dobbiamo fare un ultimo salto temporale fino al 1991, anno in cui, grazie ai progressi tecnologici, venne eseguito il primo intervento per acalasia con la tecnica laparoscopica che rappresenta oggi il gold standard.
Cos’è l’acalasia
L’acalasia è una patologia primaria rara (incidenza annuale di circa 1/100’000 e prevalenza di 1/10’000) caratterizzata da un disturbo primitivo dell’esofago. Normalmente, in risposta ad un atto di deglutizione, si genera una contrazione della muscolatura dell’esofago che segue un andamento molto coordinato, inizia in alto e si sposta verso il basso (onda peristaltica) fino ad arrivare al cardias che si rilascia dilatandosi e permettendo il passaggio del bolo nello stomaco. Nel paziente acalasico si perde la coordinazione dell’onda peristaltica e non si verifica il rilassamento del cardias. Il bolo quindi ristagna nell’esofago dilatandolo e peggiorando ulteriormente la capacità contrattile della sua muscolatura.
Il paziente acalasico avverte quindi un insieme di sintomi caratterizzati da disfagia (difficoltà al transito del bolo), dolore toracico, importante calo ponderale, rigurgito alimentare con possibilità di inalazione (il cibo rigurgitato passa nelle vie respiratorie) e di polmonite “ab ingestis”.
Iter diagnostico
Spesso il paziente viene inizialmente indirizzato ad una gastroscopia che permette di porre il sospetto di acalasia ma che andrà poi confermata con altre indagini. Tra queste risultano fondamentali lo studio delle pressioni dell’esofago, (manometria) e la radiografia con mezzo di contrasto delle prime vie digestive (esofago-stomaco). Una volta confermata la diagnosi, il paziente viene quindi indirizzato all’intervento chirurgico. Diversi studi hanno confermato come la percentuale di pazienti guariti dalla malattia dopo 10 anni dall’intervento è di circa 84% e 81% dopo 20 anni.
L’approccio terapeutico del Gruppo MultiMedica
Per rispondere alle esigenze di questi pazienti, in Ospedale San Giuseppe, l’Unità di Chirurgia Generale da me diretta ha iniziato un’attiva collaborazione con l’Unità di Endoscopia Digestiva, diretta dal dr. Cosentino, e con l’Unità di Radiologia, diretta dal prof. Zompatori .
È stato così avviato un ambulatorio chirurgico dedicato alle patologie esofago-gastriche per il completamento dell’iter diagnostico e per la programmazione dell’intervento chirurgico. L’Unità di Endoscopia Digestiva, che grazie alla dr.ssa Barbera vanta una pluriennale esperienza nello studio della fisiopatologia esofagea, collabora attivamente nella gestione di questi pazienti sia prima dell’intervento sia nel successivo follow up. Dal canto suo, l’Unità di Radiologia, con la dr.ssa Trevisan, supporta la gestione di questi pazienti con lo studio radiologico del transito esofago, fondamentale per verificare la reale riuscita dell’intervento.
Ricovero e intervento
L’esecuzione di questo tipo di intervento richiede, il giorno prima, il lavaggio dell’esofago (esofagolusi) mediante il posizionamento di un sondino naso gastrico, allo scopo di ridurre il rischio di “ab ingestis” al momento dell’anestesia. L’intervento vero e proprio, che avviene in anestesia generale, ha in genere la durata di 60 minuti circa e, come anticipato, avviene con tecnica mini invasiva laparoscopia, con l’utilizzo di telecamera chirurgica di ultima generazione in 3D.
Il giorno successivo all’intervento viene ripetuto un esame radiologico dell’esofago con mezzo di contrasto e successivamente il paziente riprende una dieta semiliquida che proseguirà anche al domicilio. La dimissione avviene generalmente il secondo giorno post-operatorio. La tecnica laparoscopica permette una rapida ripresa delle normali attività sociali e lavorative già dopo 7 giorni dall’intervento. Seguiranno, a distanza di mesi, controlli radiologici ed endoscopici a conferma del risultato chirurgico.
Esistono tecniche endoscopiche alternative all’intervento chirurgico (POEM e dilatazioni) che offrono ottimi risultati nel breve medio termine ma che a lungo termine non sono paragonabili all’intervento chirurgico.
Dr. Luca del Re, Direttore Unità di Chirurgia Generale, Ospedale San Giuseppe