Aritmie e sport
Lo sport fa bene al cuore?
Vi è un accordo generale nella medicina moderna sulla fondamentale importanza di un’attività fisica e sportiva regolare nel soggetto di ogni età compreso il bambino e l’anziano, sia per conservare l’efficienza dell’organismo, che per la prevenzione primaria e secondaria delle patologie cardiovascolari.
Fra i vantaggi documentati vi è una migliore qualità di vita, la prevenzione di una patologia di usura, compresa la riduzione delle masse muscolari (sarcopenia), il raggiungimento di un polso cardiaco più lento e regolare, un’ipertrofia fisiologica cardiaca che assicuri una portata circolatoria adeguata allo sforzo, il controllo dei valori tensivi arteriosi.
L’effetto positivo comprende un’azione favorevole sui parametri: glucidici (diabete mellito) lipidici (più elevato colesterolo HDL, più basso LDL, trigliceridemia nei limiti) sul controllo del peso corporeo, dell’obesità, dell’osteoporosi ed in tutte le patologie collegate alla sedentarietà.
Che prevalenza hanno i problemi cardiologici, e le aritmie in particolare, nella non idoneità allo sport?
Fra le cause, provvisorie o definitive, di non idoneità sportiva agonistica alla visita medico-sportiva le più comuni (il 60/80% di tutte le non idoneità) sono quelle cardiologiche, intese come condizioni che fanno supporre la presenza di un’anomalia cardiaca congenita o acquisita incompatibile, salvo un approfondimento permissivo.
La presenza o il sospetto di un’aritmia rappresenta a sua volta circa il 40% di tutte le cause cardiache di non idoneità e comporta quasi costantemente una serie di indagini cliniche e strumentali successive, fino all’elaborazione di un giudizio definitivo. Quest’ultimo può essere di benignità totale, di necessità di periodici controlli con idoneità a tempo, di non compatibilità per intolleranza o rischio, di rivalutazione dopo guarigione spontanea o a seguito a trattamento specifico (ad es. con ablazione transcatetere con radiofrequenza TC/RF). La visita medico sportiva di idoneità sportiva agonistica rappresenta inoltre, nella vita dell’atleta, un importante momento preventivo in grado di attirare l’attenzione sulla presenza di anomalie cardiache ed aritmiche, in particolare ignorate dall’atleta.
Perché le aritmie cardiache hanno importanza nello sport?
Un’attività atletica, effettuata per un periodo sufficientemente critico, induce delle modificazioni elettro-genetiche in un cuore normale quali ad esempio la bradicardia che può essere più o meno marcata in base al tipo di sport, alla durata dell’attività sportiva, all’intensità e alla predisposizione individuale. Queste modificazioni caratterizzate da un polso lento per attività sinusale modulata dall’influsso neuro-vegetativo conseguente all’attività sportiva, che si adegua aumentando di frequenza in modo proporzionale al tipo di sforzo, alla durata, all’impegno agonistico, sono di solito benigne e marker di un cuore d’atleta.
Le aritmie risultano però incompatibili con l’attività sportiva in due principali condizioni cliniche:
- quando creano con la loro presenza, anche in atleta con cuore normale, conseguenze emodinamiche sulla pompa e portata cardiaca non compatibili con il gesto atletico, soprattutto qualora realizzino eccessive tachicardie o bradicardie. Esempi tipici sono rappresentati da tachicardie parossistiche atriali (che caratterizzano il famoso cuore matto dello sportivo), dalla fibrillazione atriale e dal flutter atriali rapidi, dalla presenza di una asistolia sinusale o di un blocco atrio ventricolare (particolarmente durante pause o recupero dopo sforzo). Inoltre, sono particolarmente importanti eccessivi aumenti o rallentamenti della frequenza cardiaca in sport così detti a rischio intrinseco, cioè pericolosi all’atleta e agli spettatori per le condizioni ambientali nelle quali vengono praticati. Sono tali, oltre a gran parte degli sport estremi, molti sport di pilotaggio, il paracadutismo, l’alpinismo, certi sport subacquei, lo sci da discesa ecc..
- le aritmie cardiache sono pericolose quando si realizzano nel contesto di una patologia silente, detta cardiomiopatia aritmogena, che l’attività atletica può rivelare anche in soggetti che ne ignoravano la presenza provocando, durante allenamento o competizione, gravi sintomi come la sincope (perdita improvvisa di coscienza), l’arresto cardiaco e la morte improvvisa. Ciò avviene di solito nell’atleta nei 90% dei casi durante attività fisica, in soggetti che pur idonei fino a quel momento ad effettuare attività atletica anche ad alti livelli con grande performance, vengono improvvisamente destabilizzati elettricamente. È infatti documentato che l’attività sportiva agonistica protratta rivela e fa evolvere patologie cardiache aritmogene sottostanti ignorate, e che il singolo gesto atletico può destabilizzare elettricamente un cuore precedentemente asintomatico e ritenuto sano, provocando gravi disturbi. Il problema fondamentale appare quindi quello di un’identificazione precoce del rischio aritmico nel singolo atleta.
Cosa deve fare l’atleta per prevenire le patologie aritmiche e i gravi eventi conseguenti?
L’atleta competitivo ha il dovere di proteggersi segnalando immediatamente ai familiari, o a qualche responsabile del suo mondo sportivo, e al proprio medico, la comparsa di sintomi soprattutto in corso di sforzo fisico:
- cardiopalmo regolare o irregolare, dolori precordiali, mancanza di fiato ingiustificato, calo della performance, perdite anche minori della coscienza, variazioni ingiustificate della pressione arteriosa;
- non deve mai riprendere l’attività fisica intensa fino a che un eventuale evento infiammatorio, soprattutto se febbrile, non sia spento, in quanto il soggetto può essere in piena depressione immunitaria e quindi esposto ad eventi infettivi infiammatori. Fra di essi è particolarmente pericolosa la miocardite, frequente causa di aritmie, a breve medio e lungo termine, anche mortali dovute a reazione infiammatoria acuta o cronica secondaria a localizzazione muscolare cardiaca di batteri o di virus;
- anche lo sportivo non agonista, non obbligato per legge, dovrebbe sottoporsi annualmente ad uno screening cardiologico, possibilmente comprensivo di una visita cardiologica con ECG e test da sforzo massimale. Fortemente auspicabile anche lo studio ecocardiografico Color Doppler;
- deve evitare l’assunzione di ogni tipo di sostanza illecita che rientri nelle liste WADA (World Anti-Doping Agency) aggiornate annualmente, inclusi anche integratori farmacologicamente contaminati, in quanto tutte queste sostanze possono provocare effetti collaterali cardiovascolari anche gravi a breve, medio e lungo termine e frequentemente aritmie di ogni tipo, atriali e ventricolari, nonché esporre l’atleta competitivo alla positività dell’eventuale ricerca anti-doping.
È possibile “guarire” le aritmie dell’atleta?
L’atleta deve essere conscio che molti degli eventi aritmici che può presentare possono essere successivamente considerati e classificati come benigni ed assolti in base a studio cardiologico clinico e strumentale cui viene sottoposto dagli Specialisti esperti nei Centri Specializzati.
Può essere inoltre considerato guarito quando aritmie transitorie, dovute a cause identificabili (ad es. farmaci, sostanze stimolanti, patologie della tiroide, eventi infiammatori ecc.) sono individuate e risolte.
Può essere infine considerato guarito dopo interventi terapeutici efficaci (come da verifica specialistica dopo qualche mese) che portino alla estirpazione della patologia aritmica quali l’ablazione transcatetere con radiofrequenza (TC/RF) o con altro tipo di energia. Questo tipo di procedura, effettuata in Laboratori esperti, è in grado di risolvere in via definitiva situazioni aritmiche che hanno origine ad un percorso curabile con questa metodica quali ad esempio tachicardie parossistiche sopra ventricolari focali o da circuito elettrico nodale o da un by-pass muscolo/elettrico fra la cavità atriale e ventricolare come la sindrome di WPW (Wolff Parkinson White). Possono essere curate con successo anche tachicardie ventricolari benigne, soprattutto originate nella parte alta del cuore, come la tachicardia ventricolare conale destra o sinistra o le tachicardie ventricolari fascicolari benigne in cuore sano. Attualmente è possibile anche identificare ed eliminare aritmie ectopiche atriali e ventricolari focali o da microrientro, di solito ad alta densità numerica, qualora incompatibili con l’attività sportiva agonistica. Anche la fibrillazione atriale dell’atleta, compreso quello Master, può essere trattata con successo, soprattutto se in cuore sano, con l’ablazione transcatetere con radiofrequenza.
Quale attività sportiva è possibile negli atleti portatori di pace-maker (PM) o di defibrillatore (ICD)?
Rispettando il diritto del soggetto di effettuare un’attività fisica e sportiva, la decisione del rilascio dell’idoneità viene valutata individualmente in base al tipo di gravità della cardiopatia sottostante e all’importanza di eventuali aritmie sopraventricolari o ventricolari nei riguardi dello sforzo fisico.
In linea di massima vengono concesse idoneità per sport a basso impegno cardiovascolare, non agonistici, vanno evitati sia sport di contatto che ad alto rischio intrinseco o che comprendano movimenti ripetitivi dell’arto superiore omolaterale all’impianto.
L’impianto del singolo PM o ICD nell’atleta deve previamente contemplare la continuazione di una certa attività sportiva, essere di minimo ingombro (compatibile con la necessità di funzionamento) e collocato in sede toracico contro-laterale all’arto maggiormente impiegato. Devono essere evitati rischi di traumatismi che danneggino l’elettrostimolatore prevedendo l’utilizzo di sistemi di protezione esterna. Devono essere evitate interferenze elettromagnetiche e considerata la possibilità di deficit di funzione per il PM e per il sistema di ICD di scariche (shock elettrici inappropriati) conseguenti, ad esempio, ad errata interpretazione di elevati aumenti della frequenza cardiaca. Sia per i PM che gli ICD sono peraltro disponibili sistemi di grande sicurezza, di minimo ingombro e di grande duttilità che consentono programmazioni personalizzate, per via telemetrica, dopo l’impianto, adeguate entro certi limiti per consentire un’attività sportiva previamente individualizzata.
Cosa fare in caso di arresto cardiaco di un atleta sul campo?
L’arresto cardiaco (AC) di un atleta competitivo, generalmente ritenuto fino a quel momento sano, avviene nel 90% dei casi in corso di attività fisica-sportiva, allenamento o competizione, più raramente a riposo o di notte. L’AC è dovuto prevalentemente (circa 90% dei casi) ad una aritmia potenzialmente mortale se non interrotta tempestivamente, la fibrillazione ventricolare che rende del tutto inefficace la pompa cardiaca bloccando totalmente l’afflusso del sangue agli organi vitali. La possibilità di sopravvivenza cala del 10% ogni minuto che passa, e dopo 5/6 minuti il cervello subisce danni irreversibili che impediscono il recupero del soggetto anche se rianimato. L’unico trattamento efficace e comprovato è la defibrillazione ventricolare precoce con un defibrillatore esterno (DEA) abbinato ad una corretta rianimazione cardiopolmonare. Il DEA è un sistema in grado di segnalare su un display la presenza della fibrillazione ventricolare, guidando l’erogazione di shock elettrici trans-toracici efficaci, attraverso piastre facilmente applicate sul petto del soggetto.
Consiste in un apparecchio di ridotto peso o ingombro, robusto, alimentato a batteria, concepito per essere impiegato in modo semplice sia da parte del personale Sanitario sia dal personale non Sanitario, purché “formato”. La necessità di un corso di formazione è necessaria in quanto l’operatore deve saper usare il DEA con rapidità, sicurezza ed efficacia erogando lo shock di defibrillazione secondo le indicazioni espresse automaticamente dall’apparecchio. La possibilità di utilizzare il DEA da persone non sanitarie, né mediche, purché abilitate, rappresenta un pregresso fondamentale nella lotta contro l’arresto cardiaco compreso quello dell’atleta! Il DEA, secondo il Decreto, è previsto in tutti i luoghi frequentati nei quali si pratica attività sportiva agonistica e non agonistica compresi stadi e palestre, tenendo conto anche della necessità di eventuale soccorso a pubblico e spettatori presenti.
In conclusione: in caso di arresto cardiaco sul campo si deve intervenire immediatamente con le manovre cardiorespiratorie basali, con l’applicazione diagnostica e terapeutica del DEA, con il suo utilizzo da parte di persone abilitate e contemporaneamente procedendo alla immediata richiesta d’intervento dei mezzi di soccorso e trasporto al Centro Ospedaliero allertato. Tutti gli atleti ed operatori sportivi devono essere in grado di prestare le prime manovre di rianimazione (Basal Life Support, BLS) ed un numero maggiore possibile dovrebbe essere “certificato” dall’uso del DEA.
Prof. Riccardo Cappato, Direttore del Centro di Aritmologia Clinica ed Elettrofisiologia, IRCCS MultiMedica