Come sono diventato infermiere
Shpetim Daca si commuove.
Succede alla fine dell’intervista, quando stiamo per salutarci. Ci chiede: “Posso aggiungere una cosa?”, e ci racconta, con gli occhi lucidi, di quanto sia grato all’Italia, “perché è un Paese ospitale, che offre opportunità alle persone. Io sono arrivato con una situazione drammatica e oggi non sono solo felice, sono strafelice, e questo grazie a questo Paese ma soprattutto grazie agli italiani, perché sono le persone che fanno il Paese”.
Shpetim Daca è Coordinatore Infermieristico della Medicina Generale e della Terapia Intensiva all’Ospedale San Giuseppe, il primo di tanti volti della nostra azienda sanitaria che vogliamo raccontarvi in questa nuova rubrica “Le nostre persone”. Storie di professionisti, storie di colleghi, ma soprattutto storie di persone e del loro percorso lavorativo e personale, due strade che non corrono mai parallele ma si intersecano e si influenzano costantemente.
È il caso di Shpetim, la cui storia inizia in Albania, suo Paese di origine.
La sua decisione di diventare infermiere nasce da un triste evento familiare, la malattia di suo fratello maggiore nel 1988.
“Nel 1990”, ci racconta Shpetim, “riuscimmo ad ottenere un visto per venire in Italia, dove mio fratello avrebbe potuto ricevere cure adeguate all’Istituto Nazionale dei Tumori. Io lo seguii come accompagnatore. Nonostante le terapie, dopo due anni mio fratello mancò. Avevo “vissuto” per anni con lui negli ospedali, in Albania e in Italia: lì ho conosciuto infermieri, medici, e tra loro vi era la Direttrice della Scuola Infermieri. Fu lei a chiedermi: ‘Perché non diventi infermiere?’. Capii che quella era la mia strada.”
Dopo una formazione di base di scuola industriale-meccanica, Shpetim inizia così un nuovo percorso di studi, frequentando per 3 anni la Scuola Infermieri all’Istituto Nazionale dei Tumori, dove conosce anche quella che sarà la sua futura moglie. “È stato un percorso molto bello”, ci racconta, “che mi ha arricchito tantissimo. Anche la lingua non è stata un problema”, continua “perché avevo la fortuna di conoscerla già prima di venire in Italia. Inoltre, ho potuto contare sul sostegno di alcuni parenti acquisiti italiani, che ci hanno ospitato dal primo giorno in cui sono arrivato qui con mio fratello, fino al giorno in cui ho finito la Scuola Infermieri. Sono stato privilegiato, nella sventura ho potuto contare su un supporto molto forte della mia famiglia”.
La sua nuova professione lo porta a lavorare in diverse strutture sanitarie, spinto dalla voglia di cambiamento e di crescita, che passa anche da una Laurea Magistrale, un Master in Coordinamento Infermieristico e un Corso per Direttore di Struttura Complessa.
Il suo arrivo qui all’Ospedale San Giuseppe è il frutto di una sfida: nel 2008 un dirigente del SITRA (Servizio Infermieristico Tecnico e Riabilitativo Aziendale) gli propone di aprire un reparto di Terapia Intensiva nell’Ospedale. Shpetim, che ai tempi lavorava all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), decide di accettare la sfida e, insieme al Primario di Anestesia e Rianimazione, si occupa della selezione del personale, organizza i corsi di formazione, lavora incessantemente per mesi per organizzare il reparto, collaborando anche al suo allestimento architettonico e all’acquisizione del materiale. È l’inizio di un’avventura che ancora oggi continua.
“Ti sei mai pentito della tua scelta?”, gli chiediamo. “Mai” ci risponde, “sono stato sempre convinto e sono molto felice di fare questo lavoro, nonostante i momenti di difficoltà. Certo, ci sono stati periodi complicati, come durante la pandemia da Covid-19, che ha messo a nudo le fragilità del sistema sanitario. Sono stati mesi che hanno richiesto un impegno e una dedizione totale. Ma, nonostante la paura, non ho mai avuto ripensamenti. E come me, anche i miei colleghi: ho trovato negli infermieri una grande capacità, una voglia di mettersi a disposizione incondizionata. Questi ragazzi non si sono risparmiati, hanno lavorato con la consapevolezza del rischio di infettarsi, senza mai tirarsi indietro e sostenendosi a vicenda.”
Il ruolo degli infermieri è ancora più prezioso in questo periodo in cui la più grande criticità è la carenza di personale sanitario. Oggi più che mai servono persone come Shpetim. “Cosa diresti ad un ragazzo per convincerlo a diventare infermiere?”, gli chiediamo. “Direi che è una professione bellissima,” ci risponde “che ti chiede molto ma dà indietro tantissimo: ti permette di entrare in contatto con le persone, di aiutarle. La nostra è una delle professioni più belle perché ci prendiamo cura degli altri, abbiamo un contatto con loro molto stretto, siamo 24 ore su 24 al loro fianco. Diamo tanto, ma allo stesso tempo riceviamo tantissimo dagli altri.”
Ma il lavoro non è l’unica passione di Shpetim. Nella sua vita c’è anche lo sport. “Ho iniziato fin da bambino a fare nuoto agonistico” ci racconta, “prima di arrivare in Italia ho nuotato a livello agonistico in Albania, e per un breve periodo ho anche giocato a calcio ad un buon livello. Facevo il portiere, lo stesso ruolo che ho ricoperto anche nella squadra dell’Istituto dei Tumori, dove ho giocato per 6 anni quando sono arrivato in Italia. Poi ho ripreso con il nuoto e mi sono unito a varie squadre dei campionati Master. Una delle ultime si chiamava San Giuseppe, una curiosa coincidenza. Ultimamente invece mi sono appassionato alla vela, ho seguito un corso e preso la patente nautica.”
“Lo sport per me è fondamentale”, ci spiega, “aiuta a formare il carattere, ti insegna una metodologia di comportamento. Soprattutto gli sport collettivi, in cui bisogna mettersi a disposizione degli altri, lavorare con gli altri e non solo per te stesso. Un atteggiamento che in fondo è alla base del nostro lavoro di infermieri.”