Diventare mamma dopo i 40 anni
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un evidente aumento dell’età materna, soprattutto per quanto riguarda la prima gravidanza. Tale fenomeno emerge chiaramente anche dai dati ISTAT che mostrano come nel 2018 l’età media delle mamme al loro primo parto fosse di 31,2 anni, superiore di ben 3 anni alla media registrata nel 1995.
Nello stesso periodo i tassi di fecondità sono cresciuti sensibilmente nelle donne di età superiore ai 30 anni, in contrapposizione alla continua diminuzione tra le donne più giovani. Il fenomeno è ancora più accentuato considerando le sole cittadine italiane. Le ragioni di questo cambiamento sono complesse e probabilmente alla base anche del marcato declino delle nascite nel nostro paese. Una delle conseguenze dell’aumento dell’età materna media consiste, almeno teoricamente, nell’aumento del rischio ostetrico, ovvero delle complicanze che possono verificarsi nel corso della gravidanza e del parto. Infatti l’età materna avanzata è considerata un fattore di rischio indipendente e significativo per molteplici complicanze ostetriche. Il tema è in realtà dibattuto, ed i dati scientifici ed epidemiologici non sono sempre facilmente ed univocamente interpretabili. Innanzitutto è importante sottolineare che non esiste un consenso unanime sulla definizione di età materna avanzata, generalmente definita come età materna superiore ai 35 anni, mentre al di sopra dei 40 anni si parla di età materna molto avanzata e dai 45 anni si parla di età materna estremamente avanzata. Questa stratificazione anagrafica dovrebbe corrispondere a differenti profili di rischio, ma non sempre la frequenza delle complicanze ostetriche risulta distribuita in modo significativamente diverso nelle tre fasce di età.
La maggior parte degli studi concorda sul fatto che l’età materna avanzata sia legata ad un aumento di esiti avversi sia materni che perinatali, come l’aborto spontaneo, la preeclampsia, il diabete gestazionale, le anomalie placentari, il ritardo di crescita intrauterino (IUGR), la prematurità, la morte endouterina del feto (MEF) e il taglio cesareo urgente o di necessità.
L’età materna è certamente un fattore di rischio significativo ed indipendente per l’aborto spontaneo, che dopo i 40 anni si osserva in circa il 25% delle gravidanze. Esiste una spiegazione biologica estremamente plausibile di questo fenomeno, che viene attribuito alla maggior frequenza di errori di separazione del materiale genetico nel processo che porta alla formazione dei gameti femminili, la cellula uovo o oocita, che si verificano più frequentemente con l’avanzare dell’età materna. I feti che hanno nel loro materiale genetico questo tipo di errori vanno più frequentemente incontro ad aborto, anche se una parte di essi, in modo particolare quelli affetti dalla cosiddetta Sindrome di Down, possono sopravvivere sino alla nascita e avere una vita adulta. Ad oggi non conosciamo una soluzione a questo problema ma dobbiamo limitarci allo studio del feto in utero mediante le cosiddette tecniche di diagnosi prenatale, tecniche che possono essere diagnostiche o di screening. Queste ultime hanno conosciuto importanti progressi nell’ultimo decennio ed oggi sono considerate molto affidabili anche se non possono sostituire le classiche procedure diagnostiche invasive, come l’amniocentesi ed il prelievo dei villi coriali. Le tecniche di screening consistono nel test combinato, ovvero la sintesi matematica dei risultati di un’ecografia e dell’analisi sul sangue materno di due molecole di origine placentare, e nell’analisi dei frammenti di DNA fetale presenti nel sangue materno, che permette mediante sofisticate tecniche di genetica molecolare di stabilire il rischio di anomalie cromosomiche in modo molto accurato. Queste tecniche possono essere impiegate anche nelle donne con età più avanzata, ma solo dopo una consulenza che spieghi in modo adeguato quale sia effettivamente il test più adatto al rischio specifico.
Le complicanze ostetriche diverse dall’aborto nelle gestanti di età avanzata sono correlate non solo al processo di invecchiamento, ma anche a fattori coesistenti come la gestazione multipla (spesso associata a tecniche di procreazione medicalmente assistita), una parità più elevata, e condizioni mediche croniche che hanno meno probabilità di essere osservate nelle donne più giovani. Infatti la prevalenza di malattie cardiovascolari, metaboliche, renali e autoimmuni, aumenta con l’avanzare dell’età. Queste condizioni rappresentano tutte fattori di rischio per la gravidanza e, insieme al sovrappeso, anch’esso più frequente nelle donne meno giovani, giustificano in buona parte l’aumento di esiti ostetrici e perinatali sfavorevoli osservati nelle donne con età più avanzata, in particolare dopo i 40 anni.
Un contributo significativo al notevole aumento di mamme con età al primo figlio superiore ai 40 e spesso anche ai 45 anni è dato certamente dalle tecniche di riproduzione assistita. In particolare il ricorso alle tecniche di procreazione eterologa ha permesso a molte donne di età vicina o superiore a quella del fisiologico esaurimento del potenziale riproduttivo di ottenere uno o più concepimenti, rendendo relativamente frequente l’osservazione di gravidanze in età prima considerata ai limiti delle possibilità biologiche.
Nella sala parto dell’Ospedale San Giuseppe, situato in una zona centrale di Milano, città che è tra i centri con il più frequente ricorso alle tecniche di riproduzione assistita, abbiamo osservato negli ultimi anni un crescente numero di donne gravide in età avanzata. In particolare negli ultimi due anni 304 donne di età superiore ai 40 anni sono state seguite ed hanno partorito in San Giuseppe. L’analisi degli esiti ostetrici e perinatali ha permesso di concludere che la frequenza di complicanze significative non era chiaramente superiore in questo gruppo di donne rispetto a quelle più giovani che hanno partorito nello stesso periodo, pur registrando alcune differenze nelle complicanze minori. In particolare, nel gruppo di donne con età superiore a 40 anni è stata registrata una frequenza più elevata di ipertensione gestazionale, nati pretermine e tagli cesarei urgenti, ma non abbiamo osservato un aumento di casi di preeclampsia, diabete gestazionale, episiotomia, necessità di trasfusione materna e ipossia fetale. Il maggior ricorso al taglio cesareo in questa popolazione è apparso giustificato dalla maggior frequenza di induzione del travaglio e dalla propensione del medico, e della stessa paziente, a ricorrere più prontamente al taglio cesareo in presenza di potenziali elementi di rischio.
Dobbiamo quindi concludere che la gravidanza ed il parto dopo i 40 anni siano sicuri quanto nelle donne più giovani? La risposta appare condizionata da due fattori principali: la popolazione in esame e le strategie preventive. Il basso tasso di patologie croniche preesistenti alla gravidanza nelle nostre mamme over 40 può in parte spiegare perché l’età materna avanzata non abbia avuto effetti significativi sulla maggior parte degli esiti ostetrici analizzati. In secondo luogo tutte le pazienti meno giovani sono state seguite come gravidanze “a rischio” e strettamente monitorate nel corso della gravidanza.
In conclusione, possiamo ritenere che la gravidanza dopo i 40 anni possa essere un’esperienza sostanzialmente sicura e con pochi rischi nelle donne che non presentano patologie o condizioni di rischio note preesistenti, e a condizione che sia possibile effettuare un controllo attento della gravidanza e garantire un’assistenza adeguata al momento del parto.
Prof. Stefano Bianchi, Direttore del Dipartimento Materno-Infantile, Ospedale San Giuseppe/Università degli Studi di Milano