Dolore al petto: quando correre in Pronto Soccorso
Il dolore toracico è un disturbo frequente, ma è la conseguenza di situazioni cliniche molto diverse, la più temibile delle quali è l’infarto cardiaco.
Per questo, qualunque dolore toracico di durata maggiore di 15 minuti, che non trovi una spiegazione di natura infiammatoria o digestiva, deve essere valutato prontamente nel Pronto Soccorso Ospedaliero più vicino, per l’esecuzione di un elettrocardiogramma: bisogna infatti escludere subito la presenza di un’ischemia cardiaca secondaria ad una sindrome coronarica acuta.
Nella diagnosi d’infarto “mascherato” all’elettrocardiogramma (senza sopraslivellamento del tratto ST, in presenza di pace-maker o di blocco di branca sinistra), risulta molto utile per la corretta diagnosi l’innalzamento degli enzimi cardiaci (troponina, CPK), che a partire da alcune ore e fino ad alcuni giorni dall’esordio possono essere dosati con un prelievo di sangue.
Per evitare di confondere il dolore coronarico da tutta una serie di altre sintomatologie che non richiedono il rapido accesso in Pronto Soccorso, occorre descrivere le caratteristiche di quello che viene definito il dolore tipico dell’infarto: costrizione e peso retrosternale di tipo gravativo e non trafittivo, insorto indipendentemente dallo sforzo fisico, con irradiazioni alla base del collo, ai due arti specie al sinistro, tra le due scapole o alla bocca dello stomaco, non modificabile dai movimenti del tronco, dal respiro e dalla palpazione locale, associato a senso di angoscia, mancanza di respiro e malessere generale. Esistono dolori meno tipici ma sempre accompagnati da grave sofferenza: il soggetto si muove poco e parla poco, è schiacciato da un peso al torace che non sa localizzare con precisione, è angosciato e spera solo che qualcuno gli faccia passare il dolore. La localizzazione allo stomaco può essere il segnale di un infarto della parete inferiore del ventricolo sinistro e si accompagna ad importanti sintomi vagali (eruttazioni, senso di indigestione, sudorazione), che erroneamente possono far pensare ad una causa digestiva del dolore: la tisana non aiuta, anzi fa perdere tempo prezioso, meglio un elettrocardiogramma subito!
L’importanza del fattore tempo
L’infarto è provocato dalla chiusura di una coronaria ad opera di un trombo. Quando una coronaria è aterosclerotica, presenta delle placche che ne restringono il letto vasale. Se aumenta il bisogno di ossigeno da parte del cuore, come durante sforzo o in corso di un’intensa emozione, il flusso di sangue può diventare insufficiente e si determina uno stato d’ischemia transitoria (dolore anginoso). Se la placca si complica con un trombo che occlude completamente l’arteria, la regione cardiaca che riceve il sangue da quel vaso diventa necrotica, cioè perde la vitalità. In tal caso, il dolore toracico si presenterà a riposo e la sua durata sarà significativamente maggiore (fino a diverse ore), ma il tipo di dolore è lo stesso. In entrambi i casi la terapia è finalizzata alla rimozione dell’”ostacolo” nel più breve tempo possibile.
Le due modalità di intervento sono la terapia trombolitica, iniettando in vena un farmaco in grado di frantumare il trombo e la trombo-aspirazione nel corso di un esame coronarografico (inserzione di un catetere dall’arteria femorale fino alle coronarie), seguita dall’impianto di uno o più stent (una rete metallica che viene espansa a parete e tiene aperto il vaso, evitandone la richiusura).
La differenza tra le due metodiche è sostanziale: la trombolisi perde rapidamente di efficacia, mentre l’angioplastica garantisce un risultato superiore, con una maggiore sopravvivenza libera da complicanze anche negli anni a venire. Il fattore tempo è però vitale: infatti intervenire su una zona di cuore ormai necrotica non consente di ottenere lo stesso risultato di un intervento precoce, dove molto muscolo cardiaco può ancora essere completamente recuperato.
Un altro motivo per un rapido accesso ospedaliero deriva dal fatto che nelle prime ore dell’infarto l’ischemia determina un’instabilità elettrica del ventricolo sinistro per la disomogenea trasmissione dell’impulso tra il miocardio sano e quello infartuato. Questo processo può generare tutta una serie di aritmie, fino alla temuta comparsa della fibrillazione ventricolare (movimento caotico delle pareti del cuore) con arresto cardiaco. La fibrillazione ventricolare può essere interrotta da uno shock elettrico mediante defibrillazione manuale eseguita dal medico o semiautomatica ad opera di personale addestrato, purché avvenga entro pochi minuti. Si calcola che nelle prime ore dell’infarto un paziente su due muoia per arresto cardiaco prima di giungere in Ospedale. In molti di questi casi un intervento di defibrillazione in Pronto Soccorso o nell’automedica del 118 attrezzata per la rianimazione può resuscitare il paziente e consentire l’inizio delle procedure di rivascolarizzazione.
Dr. Marco Bordonali, direttore del Pronto Soccorso dell’Ospedale San Giuseppe