Esofago di Barrett. Una complicanza del reflusso esofageo
La malattia da reflusso gastroesofageo è una delle patologie più diffuse in gastroenterologia e tra le più trattate in ambulatorio specialistico. Sebbene il reflusso sia di per sé una condizione non pericolosa, talvolta solo “fastidiosa”, nei casi radicati e poco o nulla responsivi alla terapia medica, esistono alcune possibili complicanze tra cui spicca l’esofago di Barrett per la sua stretta correlazione con l’insorgenza dell’adenocarcinoma dell’esofago. Il reflusso gastroesofageo è un fenomeno comune a tutti, che si verifica pressoché quotidianamente in maniera silente soprattutto dopo i pasti, per cui potrebbe essere considerato come un evento para fisiologico. Nel momento in cui gli episodi di reflusso diventano frequenti e, soprattutto, di lunga durata, per cui il rivestimento esofageo viene esposto in maniera prolungata all’insulto acido, si configura uno stato di flogosi cronica che costituisce la condizione su cui si inserisce l’esofago di Barrett. Esso è definito istologicamente come metaplasia colonnare intestinale, ovvero come trasformazione delle cellule piatte, tipiche dell’esofago, in cellule colonnari tipiche dell’intestino. Il riscontro di epitelio colonnare intestinale nel tratto distale dell’esofago, per un’estensione variabile ma comunque superiore ad 1 cm, è quel che si intende, da attuali linee guida, per esofago di Barrett; questo è facilmente individuabile endoscopicamente come un’area di mucosa di color rosa salmone che contrasta con il normale color rosa pallido della mucosa dell’esofago.
È importante comprendere come la metaplasia di per sé non abbia nessuna caratteristica in comune con la neoplasia, termini che spesso vengono confusi creando agitazione nel paziente, ma deve essere piuttosto considerata come un “terreno fertile” su cui possono svilupparsi le condizioni necessarie per la progressione neoplastica, ovvero la displasia ed il conseguente carcinoma. È per tale motivo che l’esofago di Barrett va studiato bene dal punto di vista dell’estensione, della presenza di irregolarità macroscopiche e istologiche in modo da poter definire per ciascun individuo il rischio di cancerizzazione e stabilire la sorveglianza endoscopica più appropriata in accordo con le recenti linee guida.
Come comportarsi allora se si soffre di reflusso? È razionale sottoporsi frequentemente a controlli endoscopici? Ovviamente sono queste le classiche domande che si pone il paziente ma a cui può rispondere solo lo specialista. Il reflusso saltuario non costituisce indicazione ad approfondimenti endoscopici, al più necessita solo dei cosiddetti antiacidi o protettori di mucosa assunti al bisogno. Qualora il reflusso diventasse molto frequente, con episodi settimanali se non addirittura giornalieri, allora va consultato il proprio medico o uno specialista gastroenterologo per ottimizzare la terapia con un’associazione di più farmaci, antisecretori e protettori di mucosa. Solo in pazienti con lunga storia di reflusso, mal controllata dalla terapia e/o una storia di familiarità per cancro esofageo, è indicato un approfondimento mediante gastroscopia. Il riscontro endoscopico di esofago di Barrett pone il gastroenterologo davanti ad un quadro che va analizzato attentamente, anche con metodiche avanzate quali la cromoendoscopia ottica e/o digitale, e senza prescindere dall’uso di strumenti HD, andando ad analizzare la superficie della mucosa esofagea per individuare eventuali aree disomogenee, depresse o nodulari che potrebbero indicare la sede di trasformazione neoplastica e che vanno biopsiate in maniera selettiva. Escluse grossolane alterazioni macroscopiche, quindi di fronte ad un cosiddetto “Barrett piatto”, si procede al campionamento bioptico secondo il protocollo di Seattle e si attende l’esito dell’esame istologico. Sulla base di quest’ultimo, che ci indicherà la presenza o meno della displasia, oltre che sulla base dell’estensione del Barrett stesso si pianificherà un programma di sorveglianza endoscopica che ha lo scopo di individuare in maniera precoce qualsiasi alterazione displastica o neoplastica in modo da poter agire conservativamente con tecniche endoscopiche all’avanguardia. Nel caso di riscontro di displasia di basso o alto grado su “esofago di Barrett piatto”, si potrà procedere all’ablazione dell’intera mucosa mediante l’utilizzo di varie tecniche tra le quali le più utilizzate sono l’ablazione con Argon Plasma e l’ablazione con radiofrequenza. Con questi approcci si ottiene, in una o più sedute, l’eradicazione completa del tessuto metaplastico/displastico e la rigenerazione di mucosa esofagea sana, ma non è possibile in tal caso ottenere tessuto per lo studio istologico, motivo per cui vanno destinati all’ablazione solo i casi ben selezionati per i quali si è esclusa la presenza di carcinoma. La possibilità, seppur bassa, di recidiva dopo terapia endoscopica ablativa impone che il paziente venga comunque inserito in un programma di sorveglianza endoscopica.
In caso di aree nodulari o depresse, o comunque con caratteristiche di superficie tali da far ipotizzare la presenza di un carcinoma “in situ”, l’approccio deve essere atto a permettere di asportare il tessuto “en bloc” in modo da poter fare un’analisi accurata dell’istotipo e definire la radicalità dell’intervento endoscopico (tumore intramucoso) oppure la necessità di un trattamento maggiore di tipo chirurgico. Per raggiungere tale scopo si utilizzano tecniche avanzate di resezione tra cui la dissezione sottomucosa endoscopica (ESD) o la mucosectomia cap-assisted (c-EMR). La principale differenza di impiego tra le 2 è che la c-EMR ha un limite dimensionale di area di tessuto asportabile di circa 20 mm di diametro massimo, la ESD invece permette, in mani esperte, di asportare en-bloc anche l’intero tratto circonferenziale di mucosa esofagea alterata, soprattutto quando si sospetta che su un tratto di Barrett ci siano multipli foci di carcinoma.
In conclusione, l’esofago di Barrett è da considerare una complicanza della malattia da reflusso gastroesofageo, con significato precanceroso soprattutto nei quadri gravati da displasia. La sorveglianza endoscopica riveste un’importanza capitale nell’individuare precocemente foci di displasia di basso e alto grado o addirittura di carcinoma intra mucoso. Con le moderne tecniche ablative e resettive è possibile curare tale patologia prima che si renda necessario un approccio demolitivo di tipo chirurgico.
Dr. Mario Bianchetti, Direttore Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva – Gruppo MultiMedica