Il corto circuito che mi impediva di volare
“Il motore è il cuore di un aereo, ma il pilota è la sua anima.”
(Sir Walter Raleigh Alexander)
“Controllo la check list, accendo e provo il motore, chiamo la torre di controllo che autorizza il volo. Comincia il rullaggio, accelero, prendo velocità e il Cessna 150 si stacca dal suolo”.
Il sig. Alberto G. descrive con entusiasmo le manovre di decollo del velivolo da lui pilotato, lanciato sopra il cielo di Cremona. Quell’aereo sembra la metafora della sua esistenza: per troppi anni è rimasto parcheggiato nell’hangar, ma dopo un’accurata revisione ai circuiti elettrici ha iniziato a volare.
Alberto, ci racconti la sua storia
“I primi segnali di avaria al cuore si manifestarono all’età di 16 anni, dopo una lezione di ginnastica. Iniziai ad avvertire un colpo doloroso al torace seguito dal cardiopalmo, una sensazione di battito cardiaco molto accelerato, che iniziò in maniera improvvisa e si interruppe spontaneamente. Durante quei lunghissimi minuti provai una stanchezza profonda, mi vennero le unghie e le labbra viola, pensai di avere un infarto e credetti di morire. Fu in quel momento che la paura delle crisi cardiache prese il sopravvento e manipolò la mia esistenza.
Per caratterizzare il tipo di aritmia ed individuare l’origine del disturbo, il medico mi raccomandò di eseguire un elettrocardiogramma durante gli attacchi. Ricordo le disperate corse in auto nella vana speranza di raggiungere in tempo il più vicino pronto soccorso. Ma la diagnosi non tardò ad arrivare: Tachicardia Parossistica Sopraventricolare, ovvero un malfunzionamento del cuore dovuto alla disfunzione della via elettrica che collega gli atri ai ventricoli.
Questi attacchi continuarono nel corso degli anni con una frequenza variabile, insorgendo nelle occasioni più insospettabili, senza un apparente fattore scatenante; l’aritmia poteva verificarsi in seguito ad uno sforzo fisico oppure a riposo. Ogni attività quotidiana rappresentava un problema, persino andare a lavoro, figuriamoci praticare attività sportive. Amavo sciare ma dopo una crisi particolarmente acuta sulle piste fui costretto, con grande dispiacere, ad abbandonare il mio sport preferito.
L’aspetto più devastante fu sentirmi distrutto psicologicamente, governato dal terrore di incorrere in un altro attacco improvviso di tachicardia, così ridussi tutte le occasioni di incontro, mi abituai a non uscire di casa, rinunciai alle mie passioni perdendo l’entusiasmo di vivere. Insomma, mi trasformai in una larva umana”.
Cosa avvenne ad un certo punto?
“Una virata improvvisa. Un’amica mi parlò del Professor Riccardo Cappato, attualmente Direttore del Centro di Aritmologia Clinica ed Elettrofisiologia del Gruppo MultiMedica e presidente dell’ECAS – European Cardiac Arrhythmia Society, aritmologo di fama internazionale che, dopo la sua attività interventistica e di ricerca in Germania, fu tra i primi ad aver portato in Italia la tecnica di Ablazione Transcatetere con radiofrequenza, l’intervento che mi avrebbe potuto cambiare la vita.
Quando incontrai il professore rimasi colpito dalla sua empatia e delicatezza. Così decisi di sottopormi all’intervento senza nemmeno considerare gli eventuali rischi, sapevo di essere nelle mani giuste e non avevo nulla da temere. Era il 6/6/2006, come dimenticarlo?”
Prof. Cappato, cos’è l’Ablazione Transcatetere con radiofrequenza?
“È una tecnica di ormai maturo impiego nella pratica clinica. Consiste nella erogazione di calore a 55° mediante punta di un catetere introdotto nel cuore e posizionato nel punto di origine della aritmia. Nel caso del sig. Alberto, la sede di origine della aritmia fu localizzata in un punto precisissimo, e la lesione, minuscola, applicata mediante riscaldamento sul bersaglio cardiaco è stata sufficiente ad eliminare, per sempre, l’innesco della aritmia responsabile dei sintomi del paziente.
La flessibilità di tale metodica è tale da consentirne l’impiego in numerose forme di aritmia cardiaca. Fra queste sono da considerare la tachicardia atriale, la tachicardia ventricolare, la fibrillazione atriale, e le extrasistolie ventricolari. Le percentuali di successo sono alte e variano fra il 60% nelle aritmie più complesse, come nella fibrillazione atriale e nella tachicardia ventricolare, ed il 90%, come nella maggior parte delle rimanenti aritmie”.
Alberto, com’è cambiata la sua vita?
“Nei primi mesi dopo l’operazione il mio cuore ha dovuto adattarsi e arrendersi alla nuova “mappa” elettrica. Ogni mattina assumo delle pastiglie per tenere sotto controllo la frequenza dei battiti cardiaci e mi sento al sicuro se le tengo sempre in tasca, anche adesso: sono inseparabili come la coperta di Linus.
Mi è capitato di avvertire ancora “l’urto” al torace, ma dal giorno dell’intervento non ho mai più avuto un attacco di tachicardia. Fantastico, finalmente era giunto il momento di recuperare tutti gli anni perduti e così mi sono scatenato. Con l’arrivo della stagione invernale sono andato subito in montagna a sciare. Ricordo che ero seduto sulla seggiovia con mia moglie quando all’improvviso scoppiai a piangere, talmente era grande l’emozione. Anche in quel momento il cuore mi batteva forte, ma dalla gioia!
I miei familiari sanno che i regali che apprezzo di più ricevere sono i voucher per vivere esperienze emozionali, come ad esempio la guida al volante di una supercar dentro un circuito, oppure l’esperienza di skydiving all’interno della galleria del vento che ti sostiene in volo fino a 30 metri d’altezza. Ma non è finita qui. Nel 2010 ho realizzato il mio più grande desiderio: conseguire il corso di volo per ottenere il brevetto di pilota.
Posso proprio dire che grazie al prof. Cappato ho raggiunto il settimo cielo!”.