L’intelligenza artificiale: un nuovo alleato nella ricerca sull’invecchiamento
Il processo di invecchiamento è intrinseco nel concetto di vita: la vita stessa può essere intesa come una sfida che i nostri cromosomi lanciano costantemente alle leggi della fisica. Ad ogni nuova vita prodotta sul pianeta, le leggi della termodinamica rispondono con un’instancabile battaglia mirata a ristabilire il disordine, la dispersione delle molecole che ogni cellula si impegna a tenere insieme per garantire la propria sopravvivenza. Ma ad ogni sconfitta, il codice genetico si è migliorato fino a produrre il cervello umano. Non avendo ad oggi notizie di altre specie senzienti nell’universo, sembra proprio che il nostro cervello sia lo strumento più potente creato dalla vita per comprendere le dinamiche dell’Universo.
Da tempi remoti, l’uomo si interroga sulle dinamiche e sulle cause dell’invecchiamento. Aristotele riteneva che l’anima fosse il principio del vivente, ossia la ragione ultima (o forma) responsabile della vita in un corpo altrimenti inanimato. Riteneva, inoltre, che non esistesse un’anima unitaria, unica, ma bensì diverse anime, organizzate in una struttura gerarchica, assimilabile a quella che oggi viene attribuita alle diverse regioni del cervello umano. Tra queste anime, l’intelletto attivo veniva descritto dal filosofo come l’anima superiore, l’unica in grado di comprendere tutte le verità più profonde e astratte dell’Universo. Questo, solamente una volta liberata dalle limitazioni provenienti dal corpo, ossia dopo il suo decesso.
Circa 3.000 anni dopo la scrittura di queste interessanti riflessioni, nascono le intelligenze artificiali: intelletti prodotti da menti umane, allo scopo di risolvere problemi ai quali il nostro cervello non è in grado di porre rimedio, almeno non nell’immediato o con semplicità. Tra le miriadi di questioni che già vengono sottoposte alle sempre più potenti intelligenze artificiali oggi disponibili, troviamo anche la ricerca di nuovi e più affidabili marcatori di invecchiamento, la costruzione di “ageing clocks” (orologi di invecchiamento) atti a misurare il grado di “usura” di un organismo, ma anche lo sviluppo di farmaci, molecole e strategie in grado di interagire con questi orologi di invecchiamento, possibilmente rallentandoli.
Ma come funziona un’intelligenza artificiale?
Ne esistono di diversi tipi, ma tutte dipendono da funzioni matematiche complesse e articolate: algoritmi che dettano le regole per il funzionamento delle reti neurali che costituiscono a loro volta le unità fondamentali di un’intelligenza artificiale. A seconda del numero di reti neurali utilizzate in parallelo, si può distinguere tra il “semplice” machine learning (apprendimento meccanico, ML) e il più complesso e recente sistema delle “deep neural networks“, o deep learning (apprendimento profondo, DL). Queste intelligenze artificiali, una volta impegnate alla risoluzione di problemi complessi, o poste ad assimilare enormi insiemi di dati, sono in grado di trovare soluzioni o correlazioni nascoste tramite un’infinità di tentativi ed errori, dai quali, ogni volta, sono in grado di imparare per migliorare il proprio metodo di “ragionamento”.
Un importante contributo fornito dalle intelligenze artificiali alla ricerca sull’invecchiamento consiste nell’identificazione di nuovi e più efficaci indicatori d’invecchiamento. La loro identificazione è storicamente difficile a causa della tendenza della ricerca a trovare marcatori correlati a specifiche patologie, piuttosto che all’invecchiamento dell’organismo nella sua totalità. Numerosi indicatori sono stati trovati attraverso DL e ML in diverse categorie di dati, come immagini da risonanze magnetiche, genetica, o insiemi di valori sanguigni collezionati da banche dati di dimensioni nell’ordine delle migliaia di pazienti, sollevando anche alcune perplessità concernenti la privacy degli stessi.
Alcuni risultati concreti sono già stati raggiunti: nell’ambito della ricerca sul cancro – grazie all’interesse delle principali aziende farmaceutiche, in collaborazione con due compagnie leader nel campo dell’intelligenza artificiale (BenevolentAI ed Exscientia) – le intelligenze artificiali hanno progettato e selezionato diversi farmaci, già protagonisti in fase avanzata dei test clinici. Anche in altri ambiti, come ad esempio la sclerosi laterale amiotrofica, la sarcopenia, il Parkinson o la rettocolite ulcerosa, la malattia del motoneurone, o la fibrosi, ci si è avvalsi dell’intelligenza artificiale per la produzione di nuovi farmaci, alcuni dei quali attualmente sottoposti a test clinici. Numerosi sforzi sono stati fatti anche nel vasto panorama del diabete, una patologia che affligge centinaia di milioni di persone nel mondo, con incidenza crescente all’aumentare dell’età: in tale contesto, oggi l’intelligenza artificiale offre numerosi strumenti per l’aiuto alla diagnosi, la classificazione dei pazienti ma anche il trattamento della stessa patologia, con lo sviluppo di nuovi algoritmi in grado di supportare l’automatismo delle più recenti pompe di insulina.
Altrettanto promettente è l’applicazione delle intelligenze artificiali alla ricerca di bersagli per il trattamento delle disfunzioni collegate all’invecchiamento. Diversi approcci sono stati applicati anche a questo scopo, rivelando diverse alterazioni metaboliche riconducibili all’avanzamento dell’età, ma anche suggerendo nuove applicazioni per farmaci già in commercio. Un particolare tipo di intelligenza artificiale, denominata GAN (da Generative Adversal Networks) è composta in realtà da due diversi insiemi di reti neurali contrapposti. Un’intelligenza “generatrice” viene allenata studiando un determinato set di dati, allo scopo di imparare a generare nuovi dati abbastanza simili agli originali, così da “imbrogliare” la seconda intelligenza, che funge quindi da controllore. Questo ingegnoso tipo di intelligenza artificiale ha tra le sue applicazioni la progettazione di farmaci anti-age con precise qualità attese, pronti per la verifica in test clinici e pre-clinici.
Le promesse dell’intelligenza artificiale sembrano essere davvero illimitate, aveva forse ragione Aristotele nel considerare i nostri corpi alla stregua di una limitazione per i nostri nobili intelletti?
Con il contributo di:
Andrea Rampin, Ricercatore Laboratorio di Ricerca Cardiovascolare Gruppo MultiMedica,
collaboratore al Progetto Cariplo “Il midollo osseo come organo chiave nella fragilità dell’anziano”.