Un intervento mini invasivo per contrastare la fibrillazione atriale
La fibrillazione atriale è una aritmia che colpisce una popolazione con una incidenza e prevalenza in pazienti di età compresa tra i 65 e gli 89 anni.
Questo fino ad alcuni anni fa.
Attualmente tale prevalenza si sta spostando su popolazioni sempre più giovani (dati ISTAT) per cause non ben precisate per quanto però si possa immaginare che condizioni di natura ambientale la possano favorire in tale popolazione.
Tale aritmia è responsabile di una coorte di sintomi, in alcuni casi anche invalidanti, quali la mancanza di fiato, il cardiopalmo e/o palpitazione, l’astenia (ovvero la stanchezza), la riduzione della capacità funzionale e nel 25% di questi pazienti anche il dolore toracico che spesso viene confuso come dolore anginoso.
Sino ad alcuni anni or sono la fibrillazione atriale era considerata un’aritmia benigna.
Recenti studi clinici e osservazionali hanno invece considerato tale aritmia come una delle cause più frequenti di ischemia cerebrale (ictus).
Il dato più preoccupante è che l’ictus derivante (ictus cardio-embolico) risulta essere quello più drammatico rispetto a ischemie cerebrali determinate da placche carotidee o di altra patogenesi.
Tale osservazione ha determinato l’interesse di tutta la comunità scientifica al fine di curare adeguatamente questa aritmia per poterne prevenire le conseguenze più temibili.
L’ablazione della fibrillazione atriale rappresenta attualmente la procedura interventistica (percutanea) più efficace per contrastare l’evoluzione di tale patologia.
In sintesi perché è utile intervenire precocemente con tale procedura?
Facciamo un passo indietro: “fibrillazione atriale genera fibrillazione atriale”. Cosa significa?
Consideriamo una linea di orizzonte difesa da una trincea di soldati.
Se la trincea difende bene la linea di confine, nessun soldato nemico passerà. Se viceversa tale trincea non è ben presidiata, qualche soldato astuto riuscirà a passare e ad “invadere il territorio”.
Se noi non costruiamo nel cuore (atrio sinistro) una trincea attorno allo sbocco delle vene polmonari, gli impulsi elettrici (soldati invasori) passeranno indisturbati creando nella camera atriale delle zone di depolarizzazione elettrica responsabile del mantenimento dell’aritmia che si auto-sostiene.
Ovvero, il soldato colonizza il territorio.
In che cosa consiste tecnicamente la procedura di ablazione della fibrillazione atriale?
Il paziente viene sottoposto ad una puntura percutanea venosa a livello inguinale, attraverso la quale si inseriscono degli introduttori che aiutano a veicolare gli elettrocateteri nelle camere cardiache sia per la parte diagnostica (visualizzazione dei potenziali elettrici) sia per la parte interventistica ( ablazione), utilizzando una tecnica per raggiungere le vene polmonari chiamata puntura trans-settale.
Successivamente il catetere “ablatore” dopo la costruzione di una mappa elettro-anatomica della camera atriale sinistra, determinerà le lesioni (costruzione della trincea) attorno alle stesse vene polmonari, determinando così lo sbarramento all’invasione.
L’energia utilizzata per la creazione di queste lesioni va sotto il nome di radiofrequenza, che per intenderci è la stessa energia utilizzata dal forno a microonde: scaldando il tessuto si ottiene una lesione irreversibile di natura cicatriziale.
Altre tecniche possono essere utilizzate, come per esempio l’energia laser o la crioablazione.
Tali tecniche vengono utilizzate in alternativa alla radio-frequenza laddove lo si ritenga più appropriato.
Se a distanza di 6 mesi il risultato della procedura è efficace, il paziente potrà considerarsi guarito temporaneamente da tale aritmia potendo così sospendere la terapia medica e potenzialmente anche i farmaci anticoagulanti.