Monitoraggio biologico dell’esposizione ad agenti chimici
La Medicina del Lavoro/Preventiva si fonda sulla ricerca di un rapporto tra l’attività lavorativa e gli effetti della stessa sui singoli lavoratori. Tale ricerca viene svolta anche ricorrendo – ai fini non della individuazione, bensì della differenziazione – al confronto tra gli effetti riscontrabili nei soggetti che svolgono una determinata attività lavorativa e quelli riscontrabili in chi ne svolge di diverse o non ne svolge affatto.
È questo l’approccio metodo logico che da sempre informa tutto l’ambito in questione, permettendo agli operatori di giungere a conclusioni affida bili e sempre più valide nei più disparati campi
Venendo all’argomento odierno, pare utile evidenziare che con la dicitura “monitoraggio biologico” – che, ad un livello generale significherebbe “controllo degli organismi viventi”
si indica, nell’ambito della valutazione dei rischi sul luogo di lavoro, l’attività tesa alla determinazione dei livelli di contaminazione dell’aria e al successivo confronto tra questi e i valori limiti di soglia. Importante nella definizione di un valore e di un effetto sull’uomo è stabilire alcuni concetti, parametri, definizioni:
NOEL = No Observed Effect Level
NOAEL = No Observed Adverse Effect Level.
Paragonabili a LOEL/LOAEL, individuano il più basso livello della sostanza capace di indurre un effetto/effetto avverso.
Risulta chiaro che da questi concetti deriva quello di TLV: quest’ultimo parametro di riferimento prende il nome dall’inglese Threshold Limit Value (molti anni sono passati dall’individuazione dei primi valori limite da parte dalla letteratura scientifica si pensi ai primi rilievi dell’American Conference of Governmental Industrial Hygienist per l’ambiente e per l’uomo: questi sono andati, nel tempo, incontro ad una revisione critica che ha portato, progressivamente, ad un loro significativo abbattimento attraverso metodiche di prevenzione ed indagini sempre più accurate).
Al dato ricavato da detto confronto bisogna, poi, nell’indagine sull’incidenza dell’attività lavorativa sul soggetto, aggiungere quelli specifici dei casi concreti che, di volta in volta, vengono analizzati. Deve, in fatti, evidenziarsi che il solo elemento dell’esposizione non è di per sé bastevole a fornire indicazioni utilizzabili univocamente in relazione ad ogni contesto occupazionale, giacché molti altri fattori entrano in gioco nel determinare l’effettiva dose rispettivamente assorbita da ciascun individuo. Questi verranno individuati prendendo in esame le caratteristiche fisiche del soggetto (in particolare, bisogna porre l’attenzione sul peso corporeo) nonché le caratteristiche generali dell’attività svolta (ad esempio verificando se e con che frequenza egli svolge mansioni differenti, o cambia ambiente di lavoro) e quelle più specifiche di ogni singola mansione. È evidente, infatti, che una mansione particolarmente faticosa, aumentando lo sforzo, anche respiratorio, richiesto al lavoratore, non possa che incidere direttamente sulla quantità di dose inalata.
In merito alle diverse tipologie di monitoraggio biologico bisogna distinguere tra quello incentrato sull’esposizione e quello incentrato sugli effetti. Il primo indaga i livelli di esposizione interna (indicatori biologici di dose) per poi confrontarli con valori biologici limite o di riferimento. Il secondo, invece, valuta la sussistenza nei lavoratori di sintomi precoci o situazioni disfunzionali destinate a correggersi – e quindi segnatamente reversibili – con il miglioramento delle situazioni espositive (indicatori biologici di effetto). Deve farsi, infine, riferimento ai cosiddetti indicatori biologici di suscettibilità, i quali sottolineano le differenze, di natura genetica, tra i vari individui in merito alla risposta tossica in assenza di sollecitazioni.
Scendendo, dunque, più nel dettaglio, potremo dire, con particolare riferimento al caso di esposizione a sostanze chimiche, che l’analisi dei liquidi biologici rappresenta un forte strumento a disposizione del Medico del Lavoro. Ciò vale, soprattutto, se i vari dati vengono correttamente rapportati agli esiti delle indagini ambientali che esprimono la concentrazione di un determinato xenobiotico nell’ambiente, ma non il suo assorbimento nell’uomo.
Il D.Lgs 81/2008 tratta del monitoraggio biologico nel capo I del Titolo IX. Il campo di applicazione delle prescrizioni in esame è delimitato dall’art 221, il quale prevede che:
“Il presente capo determina i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza che derivano, o possono derivare, dagli effetti di agenti chimici presenti sul luogo di lavoro o come risultato di ogni attività lavorativa che comporti la presenza di agenti chimici.
I requisiti individuati dal presente capo si applicano a tutti gli agenti chimici pericolosi che sono presenti sul luogo di lavoro, fatte salve le disposizioni relative agli agenti chimici per i quali valgono provvedimenti di protezione radiologica regolamentati dal decreto legislativo del 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni.
Le disposizioni del presente capo si applicano altresì al trasporto di agenti chimici pericolosi, fatte salve le disposizioni specifiche contenute nei decreti ministeriali 4 settembre 1996, 15 maggio 1997, 28 settembre 1999 e nel decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 41, nelle disposizioni del codice IMDG del codice IBC e nel codice IGC, quali definite dall’articolo 2 della direttiva 93/75/CEE, del Consiglio, del 13 settembre 1993, nelle disposizioni dell’accordo europeo relativo al trasporto internazionale di merci pericolose per vie navigabili interne (ADN) e del regolamento per il trasporto delle sostanze pericolose sul Reno (ADNR), quali incorporate nella normativa comunitaria e nelle istruzioni tecniche per il trasporto sicuro di merci pericolose emanate alla data del 25 maggio 1998. Le disposizioni del presente capo non si applicano alle attività comportanti esposizione ad amianto che restano disciplinate dalle norme contenute al capo III del presente titolo”.
In particolare, poi, al comma 3 dell’art. 229 D. Lgs cit., viene prescritto che:
“il monitoraggio biologico è obbligatorio per i lavoratori esposti agli agenti per i quali e’ stato fissato un valore limite biologico. Dei risultati di tale monitoraggio viene informato il lavoratore interessato. I risultati di tale monitoraggio, in forma anonima, vengono allegati al documento di valutazione dei rischi e comunicati ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori”.
La norma, come si vede, fa espresso riferimento al “valore limite biologico”, il cosiddetto BEI (Biological Exposure Index) concetto la cui definizione rinveniamo, assieme alle altre, che pare opportuno riportare, nell’art. 222 D. Lgs cit., nel quale è indicato che:
“Ai fini del presente capo si intende per:
a) agenti chimici: tutti gli elementi o composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli, allo stato naturale o ottenuti, utilizzati o smaltiti, compreso lo smaltimento come rifiuti, mediante qualsiasi attività lavorativa, siano essi prodotti intenzionalmente o no e siano immessi o no sul mercato;
b) agenti chimici pericolosi:
1) agenti chimici classificati come sostanze pericolose ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modificazioni, nonché gli agenti che corrispondono ai criteri di classificazione come sostanze pericolose di cui al predetto decreto.
Sono escluse le sostanze pericolose solo per l’ambiente;
2) agenti chimici classificati come preparati pericolosi ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2003, n. 65, e successive modificazioni, nonché gli agenti che rispondono ai criteri di classificazione come preparati pericolosi di cui al predetto decreto.
Sono esclusi i preparati pericolosi solo per l’ambiente;
3) agenti chimici che, pur non essendo classificabili come pericolosi, in base ai numeri
1) e 2), possono comportare un rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa di loro proprietà chimico-fisiche, chimiche o tossicologiche e del modo in cui sono utilizzati o presenti sul luogo di lavoro, compresi gli agenti chimici cui è stato assegnato un valore limite di esposizione professionale;
c) attività che comporta la presenza di agenti chimici: ogni attività lavorativa in cui sono utilizzati agenti chimici, o se ne prevede l’utilizzo, in ogni tipo di procedimento, compresi la produzione, la manipolazione, l’immagazzinamento, il trasporto o l’eliminazione e il trattamento dei rifiuti, o che risultino da tale attività lavorativa;
d) valore limite di esposizione professionale: se non diversamente specificato, il limite della concentrazione media ponderata nel tempo di un agente chimico nell’aria all’interno della zona di respirazione di un lavoratore in relazione ad un determinato periodo di riferimento; un primo elenco di tali valori e’ riportato nell’allegato XXXVIII;
e) valore limite biologico: il limite della concentrazione del relativo agente, di un suo metabolita, o di un indicatore di effetto, nell’appropriato mezzo biologico; un primo elenco di tali valori e’ riportato nell’allegato XXXIX;
f) sorveglianza sanitaria: la valutazione dello stato di salute del singolo lavoratore in funzione dell’esposizione ad agenti chimici sul luogo di lavoro;
g) pericolo: la proprietà intrinseca di un agente chimico di poter produrre effetti nocivi;
h) rischio: la probabilità che si raggiunga il potenziale nocivo nelle condizioni di utilizzazione o esposizione”.
Alla lettera “e” dell’ultimo Articolo citato si nota il riferimento all’Allegato XXIX, il quale, tuttavia, ad oggi contiene solo riferimento al valore limite del piombo e dei suoi composti ionici. Lo stesso riporta, infatti: “Il monitoraggio biologico comprende la misurazione del livello di piombo nel sangue (PbB) con l’ausilio della spettroscopia ad assorbimento atomico o di un metodo che dia risultati equivalenti. Il valore limite biologico è il seguente: 60 g Pb/100 ml di sangue. Per le lavoratrici in età fertile il riscontro di valori di piombemia superiori a 40 microgrammi di piombo per 100 millilitri di sangue comporta, comunque, allontanamento dall’esposizione. La sorveglianza sanitaria si effettua quando: l’esposizione a una concentrazione di piombo nell’aria, espressa come media ponderata nel tempo calcolata su 40 ore alla settimana, è superiore a 0,075 mg/m3; nei singoli lavoratori è riscontrato un contenuto di piombo nel sangue superiore a 40 g Pb/100 ml di sangue”.
Non deve però, ovviamente, ritenersi che l’elenco sia esaustivo. Lo stesso è, infatti, inevitabilmente destinato ad ampliarsi nei prossimi tempi, man mano che i comitati consultivi all’uopo istituiti provvederanno a determinare i valori limite di molte altre sostanze. Nell’attesa che tale processo si compia, non si potrà che continuare a fare riferimento, come già si fa molti contratti di lavoro italiani, ai valori individuati dalle più autorevoli assise a livello mondiale, tra cui, senza dubbio, un ruolo primario gioca la sopraccitata ACGIH, i cui comitati periodicamente curano la pubblicazione della Documentation of TLV’s and BEI’s.