Non tutto il grasso viene per nuocere
Grazie alle ormai numerosissime sperimentazioni che vedono come oggetto l’innesto di tessuto adiposo autologo, una patologia molto rara come la Morfea, variante localizzata alla cute della sclerodermia, è al centro dell’interesse dell’attività di ricerca scientifica dell’Unità Operativa di Chirurgia Plastica dell’IRCCS MultiMedica, diretta dal Dr. Francesco Klinger. Ne parliamo con l’ideatore di questo Studio, nonché principale ricercatore, il Dr. Fabio Caviggioli.
Partiamo dall’ABC: cos’è la Morfea?
La Morfea, nota anche come Sclerodermia Localizzata, è una patologia benigna che comporta un irrigidimento localizzato della cute perché vengono distrutte le fibre elastiche che la compongono.
È classificata in 4 tipologie principali, con alcune varianti:
- Morfea in placca (localizzata),
- Morfea lineare,
- Morfea generalizzata,
- Morfea profonda.
Quali sono i sintomi, quali le cause?
Si presenta inizialmente con chiazze rossastre ben delimitate (infiammazione), che tendono con il tempo ad indurirsi (fibrosi) e ad assumere un colorito brunastro (iperpigmentazione). Ci possono inoltre essere sintomi sistemici come malessere, astenia (la stanchezza anche a riposo), dolore agli arti, dolore muscolare e positività sierologica per autoanticorpi. Le cause sono ancora sconosciute. È di fatto una malattia rara: ne soffrono da 0,4 a 2,7 persone ogni 100.000 e colpisce maggiormente il sesso femminile.
Si caratterizza per un’eccessiva deposizione di una proteina, il collagene, nel derma (la base su cui poggia l’epidermide, ossia lo strato più superficiale della pelle) con riduzione del tessuto elastico e adiposo e progressiva scomparsa dei peli e dei capelli, delle ghiandole sudoripare e delle ghiandole sebacee. Lo sviluppo della malattia presuppone una predisposizione soggettiva, come l’autoimmunità o una storia familiare di malattie autoimmuni, unita a fattori ambientali scatenanti come traumi, radioterapia, alcuni farmaci o infezioni.
Come avviene la diagnosi?
La diagnosi si basa sull’esame clinico e su indagini sierologiche che evidenziano la positività di alcuni anticorpi. È comunque fondamentale l’inquadramento multidisciplinare, per escludere altre patologie, come la Sclerosi Sistemica Progressiva, ed eventuali malattie autoimmuni associate.
Veniamo ora al cuore della nostra chiacchierata: la terapia. Come viene curata la Morfea?
A oggi non esiste un trattamento in grado di modificare il decorso della malattia, in altre parole non esiste una cura. Le terapie in uso mirano a rallentarne la progressione. Si può ricorrere a farmaci diretti contro l’infiammazione e la fibrosi, o contro le alterazioni vascolari o l’autoimmunità; alla fototerapia, efficace nella maggior parte dei casi, con scarsi effetti collaterali, ma impegnativa in termini di tempo per il numero di sedute richieste; o a nuove terapie farmacologiche, ancora oggetto di studio, volte soprattutto a ridurre la produzione di fibrosi cutanea.
Il vostro studio in quale ambito si inserisce?
In nessuno di quelli sopra elencati. Si tratta infatti di uno Studio Pilota basato sull’uso di innesto di tessuto adiposo autologo, ovvero prelevato dal paziente stesso. L’idea ci è venuta da un precedente Studio sulla Sclerodermia Generalizzata, condotto da MultiMedica con il Gaetano Pini, e pubblicato su Cell Transplantation. In quel caso abbiamo trattato pazienti che, a causa della malattia, non riuscivano neppure ad aprire la bocca, infiltrando il tessuto adiposo intorno ad essa. Dopo l’intervento hanno riacquistato la mobilità labiale, con conseguente miglioramento della capacità di parlare, di nutrirsi e di provvedere all’igiene orale e alle cure dentarie..
Alla luce di questi incoraggianti risultati, abbiamo pensato di estendere l’utilizzo dell’innesto di tessuto adiposo anche al trattamento di altre lesioni da Morfea, in particolare nei casi in cui è presente una limitazione funzionale, come ad esempio la limitazione della mobilità articolare.
Un intervento chirurgico, quindi…
Sì, ma in Day Hospital, ovvero senza ricovero. In sala operatoria si preleva dal paziente una piccola parte di tessuto adiposo dai fianchi, dall’addome o dalle cosce dei pazienti e, dopo averla centrifugata e trattata secondo il protocollo, viene immediatamente reinnestata per trattare la lesione selezionata. La procedura verrà poi ripetuta dopo tre mesi e in pazienti entreranno in un protocollo di follow up per un anno.
Quali sono le aspettative e che risultati state ottenendo?
In primo luogo l’obiettivo è una riduzione della fibrosi. Questo significherebbe poter disporre di una nuova arma terapeutica contro una patologia che, benché non maligna, mina profondamente la qualità di vita di chi ne viene colpito. Secondariamente, ma non per importanza, la procedura chirurgica che effettuiamo ha lo scopo di migliorare la sintomatologia algica che i pazienti riferiscono essere correlata alla presenza della lesione, nonché l’intento di migliorare la mobilità articolare nel caso in cui tali lesioni si manifestino attorno a strutture quali caviglie, gomiti, ginocchia, mani e piedi.
Lo studio è condotto in collaborazione con la Dermatologia dell’IRCCS Policlinico di Milano (via Pace), l’IRCCS Policlinico San Donato e l’Istituto Orotpedico Galeazzi. I risultati sono sempre più incoraggianti e sovrapponibili a quelli della sclerodermia generalizzata con un’altissima soddisfazione per i pazienti, nonché per i chirurghi.