Non tutte le persone anziane sono uguali
Il gruppo di ricercatori della Fondazione MultiMedica Onlus guidato dal prof Paolo Madeddu sta portando avanti un progetto di ricerca finanziato dalla Fondazione Cariplo per identificare le basi molecolari e cellulari della sindrome dell’anziano fragile.
Il progetto è oggi a metà della sua durata che è complessivamente di due anni. Ma perché studiare questa sindrome geriatrica è così importante? In cosa consiste esattamente e come possiamo sfruttare i risultati del progetto per attuare strategie efficaci per migliorare la vita non solo dei soggetti fragili, ma degli anziani in genere?
Partiamo da alcuni dati: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che entro il 2020 il numero di persone di 60 anni supererà quello dei bambini di 5 anni. Ne consegue che le malattie legate all’invecchiamento rappresentano un problema sanitario e sociale importante. L’invecchiamento infatti è un fattore di rischio non modificabile per l’aterosclerosi e l’ipertensione e le loro conseguenze debilitanti e spesso mortali che sono l’infarto del miocardio, l’ictus e lo scompenso cardiaco. In particolare, l’incidenza di scompenso si stima duplichi per il 2040.
Ma queste malattie non si verificano come eventi isolati, sono invece il frutto di lenti processi e delle relazioni tra l’individuo ed il suo ecosistema, delle interazioni tra i vari organi di uno stesso individuo e tra le diverse cellule che compongono gli organi in un complicato sistema che come in una matrioska passa dal grande al piccolo e viceversa. Se quindi immaginiamo la vita umana ed il benessere di individuo come una scala in cui il gradino più alto è la salute e il più basso la morte, la velocità con cui la scenderemo dipenderà da fattori non modificabili come la genetica, il caso e l’ambiente in cui viviamo, ma anche da fattori modificabili come comportamenti e relazioni che mettiamo in atto per vivere al meglio. Proprio in virtù di queste considerazioni si inserisce la fragilità geriatrica come modello di perdita di questo delicato equilibrio tra i fattori modificabili e quelli che non lo sono.
In cosa consiste: la fragilità si può definire come una condizione dinamica che colpisce un individuo che sperimenta perdite in uno o più domini funzionali (fisico, psichico, sociale) causate dall’influenza di più variabili, che convergono nell’aumentare il rischio di risultati avversi per la salute. Gli individui fragili hanno difficoltà a far fronte agli eventi stressanti della vita, si ammalano più facilmente e diventano presto meno indipendenti. Tale condizione debilitante affligge una larga fetta della popolazione over 65 italiana (circa il 15%). Per definire un soggetto fragile da uno che non lo è si deve tener conto non solo degli aspetti fisici, ma anche dello stato psicologico e della rete di rapporti che ha in essere, quelle relazioni di cui si parlava prima. Da un punto di vista clinico la fragilità è caratterizzata da decadimento muscolo-scheletrico e cognitivo. Quale sia l’impatto su cuore e vasi è ancora poco noto e potrebbe rappresentare punto importante per prevenire quelle malattie cardiovascolari che tanto rilievo hanno nella popolazione anziana.
Il nostro organismo ha però una risorsa interna per rispondere agli stress rappresentata dal midollo osseo. In quest’organo risiedono cellule protettive del sistema immune e del sistema vascolare oltre che di quello scheletrico. Queste cellule vengono attivate nel momento di uno sbilanciamento dell’equilibrio del nostro organismo e viaggiando attraverso i vasi raggiungono gli organi danneggiati per aiutare a rigenerarli. Nel caso del sistema vascolare tali cellule vengono identificate dal marcatore CD34 e possiamo considerarle dei guardiani del benessere vascolare e non solo. Il loro numero e la loro funzionalità sono lo specchio del benessere di un soggetto, viceversa una loro alterazione è predittiva di un rischio di malattia e di morte. L’attività fisica e interventi nutrizionali ripristinano la disponibilità/funzionalità di tali cellule.
Poiché molti sintomi di fragilità si riferiscono direttamente/indirettamente al midollo osseo l’ipotesi che guida il progetto di ricerca è che un deterioramento funzionale del midollo rappresenti uno dei principali meccanismi responsabili della fragilità attraverso la disfunzione delle cellule rigenerative in esso contenute. Per realizzare questo progetto abbiamo quindi instaurato una fruttuosa collaborazione con l’UO di Ortopedia che ci ha permesso di ottenere il prezioso materiale biologico rappresentato da midollo osseo di soggetti che si sottopongono a protesi d’anca per artrosi. La testa del femore che sarebbe considerata materiale di scarto operatorio, viene invece inviata al nostro laboratorio di ricerca per le analisi della struttura e della abbondanza di cellule riparative. Esaminiamo inoltre in collaborazione con l’UO di Fisiatria (dottor Conti e dottor Cosignani) se un intervento di riabilitazione motoria migliora gli indici di fragilità e la funzione midollare in maniera consensuale.
I risultati preliminari sono promettenti perché ci indicano che anche in una popolazione come quella dei malati di artrosi in cui la fragilità è molto bassa, considerata preclinica, si osserva una tendenza ad una diminuzione di cellule riparative. Anche nella nostra casistica abbiamo evidenziato una associazione inversa con il livello di attività fisica dei soggetti misurata con un questionario appositamente sviluppato per le persone anziane e che tiene conto anche del contesto sociale. Più attività fisica, minore è la fragilità. Ci auspichiamo che alla fine del progetto saremo in grado di identificare direttamente un impatto della attività fisica sulla fragilità che ci permetta di consolidare il dato ormai sempre più corroborato da evidenze in tanti campi della medicina che modelli di prevenzione basati sull’esercizio fisico hanno ricadute benefiche sullo stato di salute generale.
È ragionevole pensare che per prevenire la fragilità basterà attuare semplici accorgimenti quotidiani che aumentino il livello di attività motoria come prendere le scale invece che usare l’ascensore, uscire a fare una passeggiata o iscriversi ad un corso di ballo? È quello che stiamo studiando.
Con il contributo di:
Gaia Spinetti, Biologa, Ricercatore senior, Progetto Cariplo
“Il midollo osseo come organo chiave nella fragilità dell’anziano”, Gruppo MultiMedica