Contro l’osteoporosi ci vuole gioco di squadra
Le patologie muscolo-scheletriche sono tra le principali cause di dolore nella popolazione anziana, con notevoli risvolti socio-economico sia in termini di costi diretti che indiretti. Si calcola che almeno il 25% della popolazione si rivolga ai Medici di Medicina Generale per questo tipo di dolore. Le patologie che più comunemente lo determinano sono quelle artrosiche degenerative, mentre le artriti e le altre forme infiammatorie risultano essere meno frequenti. E’ fondamentale che il medico individui le possibili cause di dolore scheletrico che, specie nelle donne ultracinquantenni, può ricondursi all’osteoporosi.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’osteoporosi come “la malattia caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo, che induce un’aumentata fragilità dello stesso, con un conseguente aumento del rischio di frattura”. L’osteoporosi interessa oltre 200 milioni di individui nel mondo, potenzialmente 5 milioni di persone in Italia, di cui l’80% donne in post menopausa. Comunque non si tratta di una patologia esclusivamente femminile, dato che risulta esserne affetto anche un uomo anziano su otto. Trova il suo drammatico epilogo nella frattura da fragilità, ovvero in seguito a un trauma a bassa energia. Una ridotta densità ossea è l’aspetto principale della predisposizione alle fratture e si misura mediante la densitometria (MOC DXA), strumento di riferimento per porre diagnosi di osteoporosi. E’ importante sottolineare altresì che numerosi altri fattori clinici (età, stili di vita, familiarità, patologie associate, terapie che riducono la densità ossea) concorrono a determinare il rischio fratturativo. Per alcuni casi, come ad esempio una pregressa frattura osteoporotica, la presenza di diabete mellito o l’utilizzo di terapia steroidea, il rischio di frattura è così elevato da rendere indicato un trattamento farmacologico specifico indipendentemente dal dato densitometrico. In pratica per stimare il rischio frattura da fragilità, sono stati predisposti degli algoritmi di calcolo (in Italia il DEFRA), di facile utilizzo e compilabili online. I segmenti scheletrici tipici per questo tipo di lesione sono quelli a maggior contenuto di osso trabecolare, ossia il femore prossimale, il polso, l’omero prossimale e soprattutto le vertebre.
Ogni anno in Italia il numero di ricoverati per fratture da fragilità è di oltre 130.000 individui, ma il dato è probabilmente sottostimato. Si deve aggiungere che l’osteoporosi rimane una patologia sottodiagnosticata e sottotrattata. La maggior parte dei Pazienti che ha subito una frattura da fragilità è trattata solo per quella, senza considerare l’osteoporosi sottostante e quindi senza ricevere una corretta diagnosi e un trattamento specifico per la malattia di base, con rischio di ri-frattura e di altri effetti a lungo termine, come appunto il dolore e la disabilità cronica se non la morte prematura. Viene stimato infatti che le fratture di femore comportano la mortalità nel periodo immediatamente successivo l’evento nel 5% dei casi, percentuale che raggiunge il 20% entro un anno dalla frattura; mentre il 40% dei Pazienti perde la capacità di camminare autonomamente e l’80% non è più in grado di svolgere in autonomia almeno un’attività della vita quotidiana.
La frattura vertebrale è un evento frequente, invalidante, che spesso coincide con l’esordio clinico dell’osteoporosi, motivo per cui tale patologia è anche considerata una ‘malattia silente’, in quanto riduce la massa ossea senza dare sintomi. La frattura di una vertebra, rilevata da una radiografia del rachide, è descritta come riduzione o abbassamento in altezza del corpo vertebrale, e si può presentare come deformità a cuneo anteriore, a lente biconcava oppure come crollo vertebrale completo. Una frattura vertebrale da fragilità può manifestarsi per minimi sforzi, come sollevare la borsa della spesa, chinarsi in avanti, prendere in braccio il nipotino o, addirittura, spontaneamente. La sintomatologia della frattura vertebrale è ingannevole, spesso confusa con un banale mal di schiena e pertanto sottovalutata. Esordisce talvolta con un dolore improvviso, localizzato alla colonna dorsale o lombare. Il disturbo inizialmente continuo, si accentua stando in piedi e si attenua rimanendo distesi. Si riduce con il tempo (circa 3-4 settimane), senza scomparire poi del tutto. Altri segni clinici da non sottovalutare sono il calo di statura di molti centimetri, l’ipercifosi dorsale (la cosiddetta “gobba della vedova”) e l’addome sporgente. Altre volte, la frattura da fragilità vertebrale può essere asintomatica, detta anche “frattura morfometrica” in quanto rilevabile esclusivamente attraverso un’analisi della radiografia del rachide dorsale e lombare. Questa indagine risulta dunque essere fondamentale per stimare in maniera appropriata il grado di severità dell’osteoporosi.
Va sottolineato che, dopo una prima frattura vertebrale, aumenta considerevolmente il rischio di averne altre (una sorta di effetto domino). Tale rischio deve essere contrastato non solo con il ricorso a farmaci o a interventi chirurgici (vertebro-cifoplastica) ma anche con programmi educativi e riabilitativi che mirino a correggere se non ad evitare vizi posturali.
Come già accennato, dietro ad una frattura vertebrale si possono celare altre patologie condizionanti una osteoporosi secondaria, ovvero dovuta ad una patologia sottostante (endocrinologica, reumatologica, ematologica, ecc) di cui, nuovamente, la frattura rappresenta il primo segno clinico di malattia. Questo difetto diagnostico e di conseguenza terapeutico può essere colmato da una figura clinica di riferimento con specifiche competenze relative alla patologia osteometabolica, che prenda in carico il Paziente con frattura da fragilità attraverso percorsi clinici condivisi con altre figure sanitarie (internista, ortopedico, reumatologo, fisiatra, nefrologo) che, a diverso titolo, debbano trattare i molteplici risvolti della stessa malattia.
L’Ambulatorio di Osteoporosi attivo presso il Gruppo MultiMedica ha proprio questa finalità: attraverso un approccio multidisciplinare diventa il riferimento per tutti gli operatori sanitari ed i Pazienti proprio perché è in grado di gestire diagnosi e cure – farmacologiche, chirurgiche, riabilitative – al meglio delle possibilità. Perché l’osteoporosi di per sé non fa male, sono le sue conseguenze ad essere molto dolorose, ma se adeguatamente affrontate possono essere ben curate.
Patrizia Orlando, Medico Specialista dell’Unità di Ortopedia, IRCCS MultiMedica
Maurizio Rondinelli, Medico Specialista dell’Unità di Endocrinologia, Diabetologia e Malattie Metaboliche, IRCCS MultiMedica