Rottura del menisco: quando operarsi?
Introduzione
La rottura del menisco rappresenta la lesione traumatica più frequente dell’articolazione del ginocchio. La sua distribuzione nella popolazione generale è bimodale poiché coinvolge sia giovani sportivi che soggetti oltre i sessanta anni. Nella pratica chirurgica ortopedica è tra i più frequenti interventi eseguiti.
Nel ginocchio sono presenti due menischi, quello mediale che presenta una forma a U e quello laterale che presenta una forma semilunare. Sebbene alla nascita siano completamente vascolarizzati, nell’età adulta la percentuale che rimane vascolarizzata può essere inferiore al 30%; per tale ragione è molto infrequente che una rottura meniscale si ripari spontaneamente.
I menischi svolgono le seguenti funzioni: assorbimento e distribuzione dei carichi, stabilizzazione e congruenza articolare, incremento delle superfici di contatto e carico articolare con conseguente riduzione dello stress per unità di superficie, protezione della cartilagine, assorbimento di shock, lubrificazione, limitazione dei movimenti articolari estremi, propriocezione.
A seguito di lesioni degenerative oltre i sessanta anni, i fattori di rischio che possono condurre a una rottura meniscale sono: il sesso femminile e le attività lavorative che prevedano movimenti di ripetuto inginocchiamento, squatting o salire e scendere scale (oltre trenta rampe al giorno). Per quanto riguarda le lesioni traumatiche acute, tipiche dei soggetti più giovani, rappresentano fattori di rischio gli sport come il calcio, il rugby, il basket e la presenza di una lesione legamentosa del legamento crociato anteriore non sottoposta a ricostruzione per almeno dodici mesi.
Diagnosi
I sintomi che si presentano al ginocchio, in seguito ad una lesione meniscale, possono essere rappresentati da:
- dolore interno, esterno o posteriore
- gonfiore
- limitazione articolare, sia per dolore sia per blocco meccanico
- improvviso blocco meccanico del ginocchio che generalmente si manifesta in flessione
- sensazione di scatto e scroscio articolare.
Sebbene l’esperienza dell’ortopedico nella valutazione di segni e sintomi articolari sia fondamentale per la corretta diagnosi, la Risonanza Magnetica Nucleare dovrebbe essere comunque eseguita per confermare la diagnosi clinica.
Trattamento
La vitale funzione meniscale e la possibilità di sviluppare un quadro artrosico a seguito della sua asportazione, dovrebbe condurre l’ortopedico ad essere cauto nel trattamento di questa patologia. La scelta conservativa o chirurgica deve prendere in considerazione molti fattori relativi al paziente quali l’età, le aspettative, il livello di attività, lo stile di vita, lo stato generale di salute oltre, ovviamente, alle caratteristiche della rottura quali la sede, il tipo, l’eziologia, la complessiva situazione articolare, le lesioni associate ecc.
Il trattamento conservativo e cioè non chirurgico, deve essere riservato alle forme di lesione acuta ove la prima fase post-traumatica prevede riposo, bendaggi antinfiammatori, applicazione di ghiaccio, uso di stampelle e terapia antinfiammatoria per via orale. Tale scelta dovrà essere fatta anche per le forme di tipo degenerativo (croniche). In questo caso per un periodo che si attesti fra i 3 e 6 mesi sarà lecita una terapia con antinfiammatori e analgesici, rinforzo muscolare e fisioterapia, riduzione perlomeno temporanea delle attività quotidiane, uso di tutori e terapia infiltrativa articolare.
In ambo i casi, la persistenza dei sintomi condurrà all’alternativa dell’intervento chirurgico.
Oggigiorno, sono previsti due tipi di intervento per le rotture meniscali: la soluzione che prevede l’asportazione totale o parziale e la soluzione riparativa. L’asportazione meniscale totale è stata progressivamente abbandonata sia perché ha ricoperto un ruolo determinante nello sviluppo di artrosi articolare precoce, sia grazie al progressivo affermarsi dell’artroscopia che consente di essere più conservativi nella regolarizzazione delle rotture meniscali.
L’asportazione meniscale parziale artroscopica (APM) è l’intervento più frequentemente eseguito nelle rotture meniscali. Le tre ragioni principali sono: la rapidità della procedura, la bassa morbidità per il paziente e i buoni risultati a breve-medio termine dall’intervento. Tuttavia anche questa procedura più “risparmiosa” nei confronti del menisco è dimostrato possa condurre ad un precoce sviluppo di artrosi e per tale motivo è stato sviluppato il seguente algoritmo di trattamento (2016 ESSKA MeniscusConsensus Project):
- l’APM non deve essere considerata il trattamento di prima scelta
- l’APM deve essere proposta solo dopo esecuzione di RMN per l’appropriata valutazione della rottura meniscale
- l’APM può essere proposta dopo almeno 3 mesi di dolore o disturbi funzionali persistenti o prima solo in caso di disturbi funzionali più gravi
- l’APM non deve essere proposta se è già presente un quadro radiografico di artrosi.
L’alternativa chirurgica all’APM è la riparazione meniscale, che dovrebbe tuttavia essere maggiormente riservata alle rotture più idonee ad essere riparate, ovvero quelle acute (entro 30 giorni dal trauma), nei soggetti più giovani, e che coinvolgono la zona periferica, ben vascolarizzata, del menisco.
Anche nel pieno rispetto di queste indicazioni, la percentuale di re-interventi dopo riparazione meniscale è più alta di quella delle APM e per tale motivo, pur avendo dei risultati a lungo termine superiori, spesso l’APM è preferita come unico intervento alla riparazione meniscale, che prevederebbe inoltre un decorso post-operatorio e un programma riabilitativo più lungo e per tale motivo non sempre gradito dagli stessi pazienti.
Conclusioni
L’evoluzione della chirurgia meniscale ha vissuto dei grandi cambiamenti.
Fin dal XIX° secolo era già forte l’interesse relativo alla riparazione; nel secolo successivo, intorno agli anni ’70, la chirurgia si è indirizzata all’asportazione completa ed infine, dagli anni ’90 in poi, si è orientata a difesa e protezione di tale preziosa e nobile struttura.
La rapida evoluzione della biologia cellulare e dell’ingegneria tissutale ci potranno offrire, in un futuro molto prossimo, nuove alternative biologiche per il trattamento delle fratture meniscali.
Dr. Ugo Maria Borromeo, Direttore dell’Unità di Ortopedia dell’Ospedale MultiMedica Castellanza.
Andrea Ferrario, Specialista in Ortopedia e Traumatologia, Ospedale MultiMedica Castellanza.
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