Il segreto di un cuore forte? Restare (tra i) giovani!
L’età media che s’allunga è sinonimo di una qualità della vita che migliora. Ma una popolazione che invecchia, come quella occidentale, richiede che gli studi e la ricerca rivolti alla cura dei pazienti in età considerata anziana, ovvero oltre i 75 anni, concorrano a delineare un approccio sempre più specifico e appropriato. È anche grazie al contributo del prof. Stefano De Servi se le linee guida rivolte alla cura dei pazienti cardiopatici con sindrome coronarica contengono indicazioni specifiche per gli ultrasettantacinquenni.
Il prof. De Servi, nuovo direttore dell’Unità di cardiologia dell’IRCCS MultiMedica, ha tra gli obiettivi del suo incarico proprio l’implementazione di protocolli di ricerca clinica sull’approfondimento delle complessità e delle peculiarità legate all’assistenza dei pazienti cardiopatici anziani. L’abbiamo intervistato per saperne di più.
Cardiopatici anziani: quali gli studi in corso?
Anche il cuore può risentire degli anni che passano. I pazienti di età superiore ai 75 anni rappresentano oltre un terzo di quelli ricoverati in Unità di Terapia Intensiva Cardiologica con Sindrome coronarica acuta, ma sono di gran lunga sottorappresentati nei trial che hanno forgiato le linee guida della pratica clinica. Condurre studi nel paziente anziano è particolarmente complesso per la presenza di copatologie, per la difficoltà nell’ottenimento del consenso, per il rischio percepito maggiore di un approccio interventistico e per la precarietà del follow-up in questi pazienti.
Lo studio italiano che mi vede tra i principali attori, frutto di una collaborazione tra centri di ricerca che hanno creato una importante rete di lavoro policentrica, rappresenta un’esperienza positiva nel raccogliere questa sfida che seppur condotta con risorse limitate, sta delineando risultati convincenti. “Elderly”, che in inglese significa appunto “anziano”. è il nome di questa ricerca giunta ormai alla sua terza fase.
Il principio da cui siamo partiti è che una persona cardiopatica ultra settantenne deve essere trattata come un paziente che di anni ne ha 50. Se una terapia, seppur invasiva, giova a una certa età, ora è riscontrato che gioverà anche in anni più avanzati, pur con gli opportuni accorgimenti. La Fase 2 dello Studio si era concentrata sulle terapie farmacologiche più adatte a impedire una recidiva mentre la Fase 3, l’attuale ricerca in corso, è volta a stabilire quali differenze occorre tenere presente: la terapia antitrombotica, ad esempio, deve essere modulata in maniera diversa nei più anziani.
Nei pazienti con infarto, inoltre, un approccio precocemente invasivo ha ridotto tra il 40% e il 60% la probabilità di complicanze ischemiche fatali e non fatali entro 1 anno di follow-up.
Oltre alle Sindromi coronariche acute, quali sono gli altri campi su cui concentra la sua attività di clinico e ricercatore?
Nel corso della mia carriera ho concentrato i miei interessi di ricerca sulle tematiche riguardanti l’angioplastica coronarica, l’emodinamica cardiovascolare, la fisiopatologia e clinica della cardiopatia ischemica.
In particolare, ho svolto studi sulla vasomotricità coronarica, sul ruolo dell’infiammazione come meccanismo patogenetico dell’instabilità coronarica, sulla clinica ed epidemiologia delle sindromi coronariche acute e sull’impatto clinico dell’angioplastica coronarica nel trattamento dei pazienti con malattia coronarica. Sono oltre 300 le pubblicazioni al riguardo recensite da PubMed, per un h-index pari a 51.
Quanto conta il rapporto quotidiano coi colleghi e coi pazienti?
E’ fondamentale. La ricerca infatti trova il suo significato proprio nel contatto diretto e quotidiano con i pazienti e con i giovani che studiano e sono di stimolo a individuare nuovi orizzonti di cura.
Stare tra i giovani è un toccasana per il cuore e per la mente. Insegnare per me è ancora oggi un’esperienza entusiasmante, una sfida molto interessante che mi ha dato grandi soddisfazioni. I giovani studenti specializzandi di oggi sono sempre più preparati e motivati. Verso di loro la sfida è riuscire a stimolarli continuamente tenendo sempre presente che l’insegnamento non è a senso unico.
Non è soltanto il docente a impartire nozioni ma può ricevere esso stesso nuovi spunti e nuova linfa per nuove idee. Sono convinto che in ogni ambiente medico-clinico debbano collaborare insieme giovani e meno giovani: i primi perché stimolino i più anziani alla curiosità. Quando questa aumenta, infatti, apre le porte a nuovi scenari, a nuove soluzioni.
Come affronta questo nuovo impegno in MultiMedica?
Ho la fortuna di essermi ritrovato in un’equipe ben avviata e funzionante che si avvale di giovani professionisti affiatati.
Arrivo in questo gruppo con molto entusiasmo e tanta voglia di fare e sto conoscendo nei dettagli la realtà che ho di fronte. La progettualità si costruisce giorno per giorno e sono convinto che sia lo scambio reciproco il vero motore per fare lunga strada. Per mio conto posso dire che darò il massimo sia nella cura dei pazienti che a livello scientifico.