TAVI. Quando la chirurgia è mininvasiva
Per sostituire la valvola aortica malata non è più necessario ricorrere all’apertura del torace, grazie ad una nuova tecnica mini-invasiva che si pone come alternativa all’intervento cardiochirurgico tradizionale. La disponibilità di questa nuova procedura è un’ottima notizia per i pazienti con indicazione all’intervento di sostituzione della valvola aortica, che possono avvicinarsi all’operazione con maggiore tranquillità anche in età avanzata.
Cos’è la TAVI?
La TAVI (una sigla dall’inglese che indica che la valvola è introdotta da un’arteria: Transcatheter Aortic Valve Implantation) è una tecnica eseguita in MultiMedica come intervento di routine da alcuni anni.
Il sistema che l’ingegneria medica ha sviluppato per rendere possibile l’intervento mini-invasivo è stato quello di compattare una protesi valvolare aortica all’interno di un tubicino del diametro di circa 6 mm. Il medico ha il compito di posizionare e rilasciare la protesi esattamente a livello della valvola malata.
Come si esegue la TAVI e cosa succede alla vecchia valvola?
La risposta è la più semplice: non è necessario rimuoverla, ma resta esclusa all’esterno della struttura metallica che àncora la protesi. Nella stragrande maggioranza dei casi, la TAVI viene eseguita attraverso l’arteria femorale, ovvero inserendo un tubicino (introduttore) a livello dell’inguine, in cui si fanno passare tutti i materiali che servono a far “navigare” il dispositivo fino al cuore.
Esistono vari tipi di protesi, la cui scelta si basa sulle caratteristiche anatomiche del paziente, cioè tenendo conto della morfologia della valvola e dell’aorta. Il paziente può ricevere una leggera sedazione e l’anestesia locale, in corrispondenza del sito di accesso. Di solito non è richiesta l’anestesia generale. Il giorno successivo all’intervento, il paziente di norma è in grado di alzarsi e la dimissione avviene mediamente tre giorni dopo l’operazione.
Malattia della valvola aortica: le cause
Il numero di soggetti che vengono curati con la procedura di TAVI è in forte crescita. L’andamento rispecchia la situazione demografica italiana con un numero di soggetti di età superiore 75 anni molto elevato. La malattia della valvola aortica infatti è legata all’invecchiamento. È molto frequente che la valvola, con il passare degli anni, vada incontro ad un lento processo di degenerazione che consiste nell’indurimento dei lembi valvolari e nella formazione di calcificazioni. Il processo nella maggior parte dei casi non comporta nessun problema clinico, tuttavia in una minoranza di soggetti, la quantità di calcio e di tessuto fibroso che si depositano sono talmente rilevanti che la valvola arriva a restringersi e diventa un ostacolo al normale passaggio di sangue dal ventricolo sinistro all’aorta. Tale condizione viene indicata come “stenosi aortica” e i soggetti che ne sono affetti in modo grave hanno dei sintomi tipici che devono essere sempre ascoltati con la massima attenzione in tutti i soggetti anziani:
1) mancanza di fiato per sforzi moderati o di notte;
2) dolore al torace che insorge dopo sforzi fisici;
3) svenimento, perdita temporanea di coscienza o capogiri.
In presenza di questi sintomi è fondamentale rivolgersi al proprio medico curante, o direttamente al cardiologo, che sapranno individuare l’eventuale presenza di stenosi valvolare aortica con una visita e semplici esami non invasivi come l’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma.
Malattia della valvola aortica: come si cura?
La comparsa dei sintomi elencati e la diagnosi confermata dall’ecografia indicano che il restringimento della valvola è diventato così importante che la sola terapia medica non è più in grado di porre rimedio. L’ostruzione meccanica all’efflusso di sangue dal ventricolo può essere corretta solo con un intervento. È proprio in questa fase che si deve comprendere se l’intervento sulla valvola debba essere effettuato con la tradizionale metodica che prevede l’apertura del torace (toracotomia) e la circolazione extracorporea oppure con la tecnica TAVI.
L’intervento con la tecnica TAVI
Nei soggetti giovani, senza altre patologie cardiache, la terapia di prima scelta resta l’intervento chirurgico tradizionale. In tutti gli altri casi invece, una volta giunti alla diagnosi, è molto importante eseguire le valutazioni e gli accertamenti necessari per accompagnare il paziente all’intervento mini-invasivo.
La fase di preparazione è spesso più complessa dell’intervento stesso. Dobbiamo infatti ricordare che l’intervento di TAVI viene eseguito in pazienti spesso molto anziani, che nella maggior parte dei casi hanno già superato gli 80 anni e in qualche caso anche i 90. In altri casi, la TAVI è eseguita in pazienti che sono già stati sottoposti ad altri interventi al cuore o al torace per varie patologie.
Per tutti i soggetti candidati a questa terapia vengono eseguiti in regime ambulatoriale due esami fondamentali:
1) l’ecocardiogramma, che ci indica la gravità del restringimento della valvola aortica, la capacità del muscolo cardiaco di contrarsi e il funzionamento delle altre valvole cardiache;
2) la TAC del cuore e del sistema circolatorio, che ci permette di scegliere il tipo di protesi e le sue dimensioni e di pianificare l’intervento conoscendo perfettamente il percorso attraverso il quale il medico dovrà raggiungere il cuore.
Il percorso terapeutico non può prescindere dalla perfetta conoscenza del paziente, della sua storia clinica e dallo studio accurato di eventuali patologie concomitanti. In modo analogo deve essere approfondita la valutazione della sua fragilità, degli aspetti psicologici, della presenza di familiari o altre figure in grado di assistere il paziente dopo l’intervento, oppure della carenza di assistenza e di come sia possibile colmarla.
L’approccio quindi è di tipo multidisciplinare. Ovvero, la decisione finale sulla appropriatezza dell’intervento e sulle modalità di esecuzione non viene presa solo dal medico che lo esegue, ma da un gruppo di specialisti che uniscono le loro competenze. Per ogni paziente candidato eseguiamo in MultiMedica una riunione formale che coinvolge il cardiologo interventista, il cardiologo clinico, il cardiochirurgo e l’anestesista. Durante questa riunione viene presa la decisione definitiva che viene poi comunicata e spiegata al paziente e ai familiari per condividerne i contenuti, illustrarne i rischi e i potenziali benefici.
In conclusione, l’approccio al paziente effettuato da una squadra di specialisti permette di curare non solo la patologia, ma la singola persona nella sua complessità e, perdonateci la presunzione, anche nella sua umanità.
Dr. Flavio Airoldi, Direttore del Servizio di Emodinamica – Gruppo MultiMedica