Vaccino antinfluenzale e Covid-19: come comportarci? Intervista al Prof. Sergio Harari
L’autunno è alle porte, e quest’anno si prospetta come una stagione particolarmente delicata. Con i contagi da SARS-CoV-2 in risalita, la preoccupazione per l’arrivo dell’influenza stagionale è ancora più alta. Ma, a differenza del Covid-19, contro l’influenza abbiamo un’arma: il vaccino. Come comportarci?
Lo abbiamo chiesto ad uno dei maggiori esperti del settore, il Prof. Sergio Harari, Direttore dell’U.O. di Pneumologia del Gruppo MultiMedica e Professore di Medicina Interna all’Università degli Studi di Milano.
Prof. Harari, per quali motivi vaccinarsi contro l’influenza quest’anno è più importante che mai?
Vaccinarsi contro l’influenza stagionale quest’anno assume una particolare valenza, non tanto perché il vaccino svolga un’azione protettiva verso il virus SARS-CoV-2, ma perché i sintomi influenzali e quelli della malattia da Coronavirus (Covid-19), soprattutto nella fase iniziale, possono essere facilmente confusi.
Questo quindi determinerebbe una situazione di caos a tutti i livelli, sia per i pazienti e per chi è entrato in contatto con loro – con l’obbligo di sottoporsi al tampone e rimanere in quarantena fino al suo esito – sia per il Servizio Sanitario Nazionale, che si ritroverebbe a dover gestire un altissimo numero di casi sospetti di infezione da SARS-CoV-2, con un’enorme affluenza negli ambulatori dei Medici di Medicina Generale e nei Pronto Soccorso, anche in presenza di sintomi banali, che spesso sono ascrivibili all’influenza.
Inoltre, quest’anno sarebbe utile vaccinarsi anche contro lo Pneumococco, sia perché questa vaccinazione fornisce un’ulteriore efficace protezione verso le riacutizzazioni respiratorie di tipo bronchitico, di tipo infettivo, le polmoniti etc., sia appunto per le problematiche esposte prima. La vaccinazione antipneumococcica è comunque indicata in tutti i pazienti ultrasessantacinquenni, nei pazienti fragili e portatori di malattie croniche come il diabete, l’asma o la bronchite cronica.
A chi è consigliata la vaccinazione antinfluenzale, quest’anno?
Quest’anno, proprio per le ragioni di cui parlavo precedentemente, la vaccinazione antinfluenzale è raccomandata a tutti. Il Ministero della Salute ha inoltre abbassato a 60 anni la soglia minima di età oltre la quale è possibile richiederla gratuitamente, per facilitare la diagnosi nelle fasce di maggiore rischio di malattia grave. Come tutti gli anni, la vaccinazione è offerta gratuitamente a tutti i soggetti ad alto rischio di complicanze o ricoveri correlati all’influenza.
È importante sottolineare come vaccinarsi per l’influenza sia una sorta di dovere civico, non solo quindi per proteggere noi stessi, ma anche per proteggere i nostri cari, e più ampiamente l’intera comunità. Abbiamo visto che le ripercussioni di un contagio possono essere molto serie, ma anche quando non hanno conseguenze gravi dal punto di vista della salute, comportano comunque dei disagi importanti, con quarantene e periodi di astensione dal lavoro prolungati.
Qual è il momento migliore per vaccinarsi?
As soon as possibile, appena il vaccino sarà disponibile.
Il vaccino antinfluenzale è sicuro?
I vaccini sono sicuri, assolutamente. Come tutti i farmaci, esiste la possibilità di reazioni avverse, la cui frequenza però è estremamente ridotta e ampiamente controbilanciata da quelli che sono gli aspetti invece protettivi. Non dobbiamo dimenticare che molte persone muoiono ogni anno anche a causa della comune influenza.
Nei giorni scorsi alcune testate giornalistiche hanno parlato di un possibile parziale effetto protettivo del vaccino antinfluenzale anche contro il Covid-19. Cosa ne pensa?
Al momento esistono alcune segnalazioni in letteratura che riguardano il vaccino anti-Pneumococco, tuttavia questi dati devono essere ancora confermati dalla comunità scientifica. Si tratta di un tema ancora controverso. In tutta onestà, credo che per ottenere una protezione efficace contro il Covid-19 sarà necessario aspettare che sia sviluppato un vaccino ad hoc.
Teme un nuovo disastro come la primavera scorsa?
In questo momento, l’espressione clinica del virus è meno grave rispetto all’inizio, è un fatto che noi clinici abbiamo tutti constatato. E questo, credo, non è dovuto semplicemente all’età media notevolmente più bassa dei contagiati. Un esempio significativo è il caso dei 29 pazienti che si sono infettati all’interno della RSA di Via Quarenghi a Milano: quasi nessuno ha manifestato forme gravi della malattia. Se fosse successo in marzo, un terzo, se non addirittura la metà, non sarebbe sopravvissuto. Quindi l’impressione è che qualcosa sia cambiato, sia nell’aggressività che nell’espressione clinica del virus.
Il fatto che i giovani siano meno suscettibili alle forme gravi è vero, però purtroppo noi clinici a marzo abbiamo visto morire anche giovani di vent’anni, senza alcuna patologia pregressa. Il problema è che al momento non sappiamo cosa sia cambiato, ci mancano degli elementi di valutazione: sono stati riconosciuti ceppi virali diversi, ma non chiare mutazioni del virus. Per cui, così come è cambiato favorevolmente in questo momento, non possiamo escludere che cambi sfavorevolmente in futuro. L’aspetto positivo è che ora siamo più pronti e organizzati, anche dal punto di vista clinico: abbiamo capito come gestire i pazienti al meglio, pur sapendo che al momento non esistono cure.
Un’ondata di casi influenzali in concomitanza con i casi di Covid-19, che effetto avrebbe sul tracciamento dei contagi?
La situazione diventerebbe ingestibile. Non dobbiamo inoltre dimenticare che ci sarà il problema delle scuole, la cui riapertura richiederà un grande impegno dal punto di vista diagnostico, con una richiesta enorme di tamponi, ai quali si sommeranno tutti gli accessi ai Pronto Soccorso e tutti i sintomatici, che nella stagione autunnale e invernale sono sempre numerosi. Dal punto di vista organizzativo, sarà difficile anche avendo sufficienti test diagnostici a disposizione. Ma il rischio è che non ce ne siano abbastanza.
In questi giorni si sta parlando molto dei tamponi rapidi: ne esistono due tipi, i tamponi antigenici e quelli molecolari, che però attualmente sono disponibili in quantità limitate.
I tamponi antigenici rapidi hanno una buona specificità, ovvero i casi di falsi positivi sono limitati, ma la sensibilità non è eccezionale, questo significa che l’infezione rischia di non essere diagnosticata in una certa percentuale delle persone positive possibili vettori di contagio. Quindi, a fronte di una indiscussa velocità nell’ottenere gli esiti, rimangono alcune incertezze sulla loro attendibilità, mentre allo stato attuale i test molecolari sembrano fornire dati più attendibili ma non sono di facilissimo reperimento per i grandi numeri richiesti.