Spalla “congelata”, ovvero la capsulite
La spalla è l’articolazione più mobile in assoluto del nostro apparato muscolo-scheletrico.
La capacità di contenimento della articolazione scapolo-omerale è garantita dalla capsula e dai legamenti dotati di caratteristiche elastiche tali da soddisfare la miglior mobilità della articolazione stessa. La capsulite adesiva rappresenta una insidiosa ed invalidante patologia a carico della articolazione caratterizzata da una retrazione elastica della capsula e dei legamenti e porta ad una riduzione drastica del volume articolare della spalla con scarsa capacità di muoversi liberamente nella quotidiana vita di relazione ed è spesso accompagnata da fasi molto dolorose.
L’ incidenza della patologia varia tra il 2% e il 4% nella popolazione di età generalmente compresa tra i 40 e 60 anni e con prevalenza per il sesso femminile.
La capsulite adesiva non ha una eziologia ben nota. L’origine multifattoriale riportata in letteratura evidenzia più frequentemente una pregressa patologia traumatica della spalla, una immobilità secondaria protratta, una lesione o calcificazione dei tendini circostanti (quelli della cuffia dei rotatori risultano essere i più coinvolti), pregresse mastectomie con linfoadenectomia, malattie reumatiche o malattie metaboliche (patologie tiroidee o diabete). Un fattore predisponente molto frequente, e spesso associato alle condizioni espresse poc’anzi, è la presenza di stati ansiosi o un periodo emozionalmente sfavorevole che ha preceduto di 3-5 mesi la comparsa della manifestazione dei sintomi.
La malattia, specialmente nella sua forma idiopatica primitiva, segue un iter patologico progressivo ben definito ed è composta da più fasi:
- fase 1: è caratterizzata dall’insorgenza del dolore graduale senza un evento traumatico o uno sforzo fisico apparente. Il dolore è prevalentemente notturno e la perdita del movimento riguarda prevalentemente la extrarotazione (durata in genere inferiore a 3 mesi);
- fase 2: si manifesta con un dolore progressivamente più intenso, presente anche a riposo con limitazioni del movimento in tutte le direzioni (durata tra i 3 e i 9 mesi). Generalmente è questa la fase che porta il Paziente alla richiesta di un consulto medico specialistico;
- fase 3: il dolore è presente con il movimento articolare che viene compensato ampiamente dalla scapola nel tentativo di aiutarsi nel movimento. In questa fase si può andare incontro ad atrofia e decadimento muscolare della spalla a causa della riduzione marcata delle attività (durata tra i 9 e i 15 mesi);
- fase 4: il dolore diventa minimo ma vi è un’importante limitazione dei movimenti a causa della persistenza di aderenze e restrizioni capsulari ormai cronicizzate (durata tra i 15 e i 24 mesi). In questo periodo il Paziente generalmente si accontenta della limitazione funzionale a fronte di una netta regressione del dolore, riducendo di conseguenza la sua dedizione ed intensità delle cure;
- fase 5: è la fase definita di scongelamento, vi è una lenta e graduale ripresa della elasticità con un dolore quasi assente. Spesso l’esito finale di questa fase è condizionato dalla qualità e correttezza delle cure intraprese.
La diagnosi della capsulite adesiva deve essere effettuata molto precocemente per poter ottenere un ottimale e rapido risultato in termini di dolore e funzione. Diagnosi tardive o gestite per mesi con cure improprie possono portare a risultati poco soddisfacenti. Il primo approccio diagnostico è clinico attraverso un’accurata visita che mette precocemente in evidenza una restrizione dei parametri di mobilità, elasticità, fluidità della spalla rispetto alla controlaterale, la presenza o meno di difetti di forza e che va a valutare la qualità cervicale e ad escludere la presenza di patologie discali o nevritiche di pertinenza vertebrale.
La raccolta anamnestica deve rilevare fattori predisponenti quali patologie pregresse dei tendini della cuffia dei rotatori, calcificazioni periarticolari trattate in passato e magari silenti da tempo, patologie metaboliche e lo stato qualitativo somato-emozionale. La diagnostica strumentale radiologica non è di grande aiuto per porre diagnosi certa di capsulite ma indubbiamente aiuta ad escludere patologie primitive di altra natura. L’ RX tradizionale pone la certezza di una buona morfostruttura scheletrica ed esclude evidenti calcificazioni, mentre l’ecografia o ancor più la RMN escludono patologie degenerative o lesione parziali a carico dei tendini della cuffia dei rotatori.
La cura ed il trattamento della capsulite adesiva richiedono tempi di cura lunghi (nei casi peggiori fino a 12-15 mesi); pertanto è fondamentale una corretta informazione al Paziente.
La terapia iniziale prevede l’assunzione di farmaci antiinfiammatori non steroidei, impacchi di ghiaccio intermittenti, terapie fisioterapiche elettromedicali al fine di migliorare la biostimolazione rigenerativa tissutale e l’infiammazione quali la tecarterapia e la laser terapia. Il cardine del trattamento rimane però la fisiokinesiterapia assistita attiva e passiva con esercizi e stimolazioni eseguite al fine di elasticizzare i tessuti, evitare fibrosi e progressive aderenze, mantenere tonica la muscolatura.
La fisioterapia va condotta da personale qualificato in grado di individuare il corretto timing delle sedute (generalmente 2-3 a settimana) e la giusta “alchimia” di quanto forzare e quanto assecondare con trattamenti più blandi ogni spalla e ogni singolo Paziente.
Un importante vantaggio si ottiene con la ginnastica assistita in acqua, la idrokinesiterapia.
I trattamenti nei primi mesi devono essere rigorosamente rispettati, poi il Paziente può essere autonomizzato riproducendo la maggior parte degli esercizi a domicilio. Il trattamento infiltrativo endoarticolare trova indicazione nelle fasi particolarmente dolorose e rigide soprattutto rendendo accettabile e sostenibile il programma riabilitativo, altrimenti molto fastidioso da sostenere. Generalmente si ricorre all’utilizzo di farmaci corticosteroidei ed in minor misura all’acido ialuronico.
Casi particolarmente insidiosi e scarsamente responsivi al trattamento medico e fisioterapico trovano indicazione alla terapia chirurgica artroscopica definita artrofibrolisi in grado di liberare i recessi articolari particolarmente retratti e ripristinando un corretto volume articolare. La chirurgica deve essere comunque e sempre seguita da una doverosa fisioterapia post-chirurgica.
Dr. Andrea Berardi, Unità di Ortopedia, IRCCS MultiMedica