Covid-19 e obesità: un legame da approfondire
Fino a febbraio 2020 solo pochi italiani avevano sentito nominare la provincia cinese di Wuhan, ma credo che la nostra generazione ben difficilmente dimenticherà questo nome e l’epidemia che lì ha preso sviluppo per poi diffondersi in tutto il mondo, e anche in Italia. A metà marzo il disastro era palpabile e l’esperienza del lockdown è stata problematica per tutti noi, soprattutto per l’incertezza che ha generato. Negli ultimi sei mesi, però, le nostre conoscenze sul coronavirus (SARS-CoV2) e sulla malattia che esso ha generato (COVID-19) sono andate progressivamente aumentando, togliendo al COVID-19 gran parte della sua aura di mistero. L’Italia, essendo stato il primo Paese occidentale a sopportare il peso dell’epidemia, ha dato un grosso contributo di conoscenza su diversi aspetti della malattia, in particolare su quelli epidemiologici relativi ai ricoveri e ai decorsi più gravi.
L’insufficienza respiratoria, successiva alla polmonite interstiziale, che caratterizza il decorso del COVID-19, può richiedere la ventilazione meccanica e il ricovero in rianimazione[1], specialmente nei pazienti ipertesi (circa la metà dei casi), diabetici (17%) e con malattie cardiovascolari di varia natura (21%). Quando queste alterazioni si trovano riunite fra di loro, specialmente nei pazienti anziani, la mortalità aumenta in modo esponenziale e rende conto della gravità della situazione. In una prospettiva più generale si può dire che il virus SARS-CoV2 colpisce più frequentemente e più gravemente i soggetti affetti da sindrome metabolica, sotto il cui nome le tre manifestazioni patologiche citate finiscono con l’essere direttamente o indirettamente ricomprese.
Quale legame tra obesità e COVID-19?
È curioso che la manifestazione morbosa che più frequentemente è causa di sindrome metabolica, e cioè l’obesità, non sia stata indicata come il comune denominatore di questa drammatica associazione. Di fatto in Italia l’obesità non è ancora una malattia, o meglio è malattia sui libri ma non nella realtà clinica, e così nelle rilevazioni dei nostri ospedali spesso la diagnosi di obesità viene a mancare. Ma a tutto c’è rimedio: in nostro aiuto sono venuti prima i cugini d’oltralpe[2] e anche alcuni studi italiani più recenti[3], che hanno chiaramente dimostrato che essere obesi comporta un significativo aumento del rischio di ammalare di COVID-19 in forma grave. Questo fatto è ormai universalmente accettato, tanto che l’algoritmo di calcolo del rischio COVID elaborato e pubblicato sul British Medical Journal[4] dal gruppo di lavoro inglese coordinato dall’Università di Oxford include il BMI (Body Mass Index, indice di massa corporea)[5] come variabile direttamente correlata: più alto il BMI, più alto il rischio COVID. Il perché risiede nel fatto, noto da tempo immemorabile, che l’obesità favorisce le infezioni e anche le forme influenzali, attraverso diversi meccanismi neuro-endocrini che sono tipici di una risposta infiammatoria cronica del tessuto adiposo. Nell’obeso, i livelli di leptina sono aumentati e quelli di adiponectina diminuiti; inoltre vi è un incremento delle citochine pro-infiammatorie, e tutto questo conduce ad una significativa diminuzione della risposta immunitaria. Così, opporsi all’infezione virale è più difficile, e anche sviluppare una buona risposta alla vaccinazione diventa problematico.
Nel caso specifico del COVID-19, un ulteriore elemento negativo è dato dall’elevata espressione nel tessuto adiposo del recettore per l’enzima di conversione dell’angiotensina, un dimostrato punto d’attacco per la penetrazione nelle cellule del Coronavirus SARS-CoV2[6]. Così un BMI maggiore di 30 deve essere considerato un fattore di rischio per l’infezione COVID, ma ciò non significa che le cose debbano necessariamente andare male.
È un dato di fatto, più volte dimostrato in relazione a diversi tipi d’infezione, che essere obesi fa ammalare più facilmente, ma non implica una mortalità più elevata a meno che non siano presenti le complicanze dell’obesità come l’ipertensione, il diabete e le malattie cardio-vascolari: è il paradosso dell’obesità, un elemento di cui tenere assolutamente conto perché è possibile migliorare le probabilità di superare l’infezione con opportune misure terapeutiche.
Quali strategie d’intervento adottare?
Durante questo periodo l’équipe del Prof. Livio Luzi, che si occupa di obesità e diabete nel Gruppo MultiMedica, ha messo a punto una strategia d’intervento estremamente efficace.
Si tratta in primo luogo di valorizzare il ruolo della dieta, sia per ridurre significativamente l’eccesso del peso corporeo, sia per riequilibrare lo stato nutrizionale della persona con obesità, che notoriamente si nutre male e presenta spesso alterazioni di oligoelementi, vitamine e nutrienti essenziali che indeboliscono la risposta al virus.
Il secondo pilastro della terapia medica è l’esercizio fisico, perché, oltre a favorire la riduzione di peso e il raggiungimento di un buon equilibrio ormonale, è in grado anche di influire positivamente sulla risposta contro i virus influenzali.
Il trattamento farmacologico delle complicanze dell’obesità completa il trittico terapeutico, che rappresenta comunque un valido supporto alla risposta antivirus.
Il ruolo della chirurgia bariatrica
Ma, nel lungo termine, cosa è possibile fare in un periodo in cui i lockdown si susseguono e ogni volta la persona con obesità, abbandonata a se stessa, rischia di andare incontro ad un aumento di peso? La risposta è chiaramente chirurgica, ma deve nascere in un contesto come quello dell’Ospedale San Giuseppe, in cui la collaborazione fra équipe medica e chirurgica è in grado di guidare il paziente in un percorso il cui sviluppo temporale si dipani senza danno durante il periodo COVID. Le linee d’indirizzo della Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità hanno sottolineato l’importanza della chirurgia ogni qualvolta l’evoluzione della malattia spinga il malato verso una posizione di scompenso metabolico e di aggravamento del rischio; l’indicazione può essere sostenuta e l’intervento eseguito in un contesto COVID-free, seguendo le indicazioni di preparazione del paziente stabilite dalle autorità sanitarie. In questi mesi abbiamo potuto soddisfare le esigenze di un modesto numero di persone, molte meno di quelle che hanno richiesto la nostra assistenza, ma senza mai incorrere in alcun incidente, né COVID né non-COVID, e così vogliamo proseguire.
Prof. Diego Foschi, Direttore del Centro di Chirurgia Bariatrica dell’Ospedale San Giuseppe MultiMedica e Presidente della Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità
[1] G. Grasselli, A. Zangrillo, A. Zanella et al., JAMA 323:1574-81, 2020
[2] A. Simmonet, M. Chetbourn, J. Poissy et al., Obesity 28:1195-9, 2020
[3] D. Moriconi, S. Masi, E. Rebelos et al., Obes Res ClinPract 14:205-9,2020; E. Rebelos, D. Moriconi, A. Virdis et al., Metabolism 108:154247, 2020
[4] BMJ 371: m3731, 2020
[5] Il Body Mass Index è un valore assoluto che si ottiene dividendo il peso in Kg per la seconda potenza dell’altezza espressa in metri. Esso è correlato in genere all’ampiezza dei depositi adiposi ed è indice di obesità se superiore a 30 e di obesità grave se superiore a 35.
[6] T. Bombardini, E. Picano, Can J Cardiol 36:784 e1-2, 2020