Forame ovale pervio: un difetto del cuore che spesso non si vede
Esistono molti tipi di cardiopatie congenite, cioè presenti fin dalla nascita e ne soffrono circa l’8% dei neonati. Molte di queste sono di scarsa gravità e non condizionano la loro crescita o la loro vita, mentre solo alcune sono delle malformazioni molto gravi. Solitamente vengono scoperte durante la gravidanza, grazie all’ecocardiografia fetale, un esame assolutamente indolore e non pericoloso, sia per la mamma sia, per il piccolo. In questi casi, nei primi anni di vita del bambino, si ricorrerà a un trattamento chirurgico.
Il PFO
Fra le cardiopatie congenite meno gravi, e raramente diagnosticate, rientra il Forame Ovale Pervio (PFO), un difetto nella fisiologia del cuore del bambino. Durante la gravidanza, il nascituro non utilizza i polmoni, in quanto è la madre a fornire l’ossigeno necessario alla vita e i due atri del cuore, destro e sinistro, sono in comunicazione fra loro. Al primo respiro del bambino, questo “sportello” si dovrebbe chiudere, separando definitivamente i due atri. In circa il 25% della popolazione adulta questo non è avvenuto.
Il Prof. Emilio Vanoli, Responsabile del Servizio Scompenso Cardiaco dell’Unità di Cardiologia dell’IRCCS MultiMedica, si occupa abitualmente di PFO e ci ha rassicurato sul tema. Il PFO, nella maggioranza dei casi, non crea nessun problema nelle attività quotidiane o nelle aspettative di vita. Il problema nasce quando il passaggio che mette ancora in comunicazione i due atri è più ampio. Quando la pressione sanguigna si alza, ad esempio se si fa attività fisica, e il sangue passa dall’atrio destro a quello sinistro in grandi quantità, possono insorgere delle complicazioni, la più grave delle quali è un’embolia cerebrale.
Che fare?
In questi casi si può effettuare un ecocardiogramma e, successivamente, esami più complessi come il doppler o la risonanza magnetica, per valutare se esiste una comunicazione fra i due atri, quanto sia importante il travaso di sangue e le condizioni generali del cuore del paziente. Si ricorre a queste indagini in caso di forti cefalee o in presenza di un precedente ictus le cui cause non siano state identificate. Solamente nei casi più gravi si interviene, oggi non più attraverso un intervento chirurgico al cuore ma con il posizionamento, in modo meno invasivo e complicato, di un disco che chiude il passaggio fra i due atri. Questa soluzione risolve in modo definitivo il problema al cuore.
“Il PFO è un problema da tenere in considerazione – spiega il Prof. Vanoli – ma non è un mostro. Bisogna fare molta attenzione nella diagnosi ma anche avere estrema cautela nella scelta della terapia perché in molti casi non pregiudica nulla nella vita del paziente”.