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Blog – Gruppo MultiMedica

Dal bisturi al Louvre

Manuela Carnini è una mamma, un chirurgo, un’artista e un’ex atleta olimpionica. È una donna che ha saputo coniugare lavoro e famiglia senza mai perdersi d’animo, traendo dalle proprie passioni la forza e la vitalità per superare i momenti difficili e rinascere. La sua prima passione per la medicina la porta a diventare un chirurgo vascolare e attualmente presso l’Ospedale MultiMedica di Castellanza esegue interventi mininvasivi per il trattamento delle varici.

 

 

Manuela sente il richiamo della medicina già da bambina: “Sia mio padre che mio nonno erano medici, loro sono stati il mio primo modello. Mi piaceva esplorare, quando ci regalavano i polli, insistevo per vedere come fossero fatti all’interno. Mi spingeva un interesse innato, infatti la prima volta che ho visto un addome aperto in sala operatoria sono rimasta affascinata dal corpo umano e dalla sua perfezione. Ho capito subito che la medicina era la mia vocazione e ho intrapreso questa strada nonostante mio padre cercasse di demotivarmi perché temeva che, essendo donna, facessi una vita sacrificata. Una volta laureata, mi sono trasferita a Milano per iniziare il tirocinio in sala operatoria e nel 2010 sono giunta in MultiMedica, qui ho avuto l’opportunità di fare un ulteriore salto professionale diventando completamente autonoma nell’ambito della chirurgia arteriosa”.
Prima di diventare chirurgo, però, Manuela aveva già raggiunto un importante traguardo nella sua vita partecipando alle Olimpiadi di Atlanta ’96 nella specialità di nuoto sincronizzato.

“Ho iniziato a praticare questo sport all’età di 5 anni per correggere una brutta scoliosi e ho continuato ad allenarmi fino ad arrivare alle Olimpiadi. Non è stato facile coniugare sport e studio e per riuscire a dedicare il giusto tempo alla preparazione atletica avevo congelato per due anni la facoltà di medicina. Quando sono rientrata, in un solo anno ho conseguito gli esami del biennio, riuscendo così a non perder tempo”. Fin da piccola, Manuela non si è mai lasciata spaventare dalle difficoltà e così è stato anche durante uno dei periodi più complessi degli ultimi anni, il lockdown dovuto alla pandemia Covid-19. Questo momento di “pausa” ha rivelato a Manuela che la sua mano, già considerata da lei un grande dono per la sua attività chirurgica e parte fondamentale della sua carriera atletica, era origine di un ulteriore talento. “Nel mese di marzo, in pieno lockdown, insieme ai miei bambini (di 3 e 4 anni), giocavamo a dipingere, con i pennelli avevamo creato il famoso cartellone “Andrà tutto bene”, finché una sera in cui non riuscivo a dormire ho preso in mano i colori e ho iniziato a disegnare da sola, da questo momento non ho più smesso. Prima di allora non avevo mai disegnato né avevo mai avuto una passione per l’arte. Adesso, invece, la mia vita si è capovolta. È come se avessi trovato la mia vera identità, che era già dentro di me ma che non era riuscita a venir fuori per via degli altri impegni, prima l’attività sportiva, poi gli studi in medicina, il tempo libero era pochissimo e potersi interessare ad altro era veramente difficile. La pandemia mi ha permesso di fermarmi e di far scaturire questo bisogno di espressione che avevo dentro.

Nel silenzio assordante della notte, la mia mano andava da sola ed io provavo una sensazione di immensa libertà”.
Attraverso l’arte, Manuela guarisce dalle ferite, lasciate da una separazione dolorosa, realizzando in due anni circa 300 opere il cui tema preponderante è l’Amore. Il suo nome d’arte, Fridami, è un omaggio a Frida Kahlo con l’aggiunta della parola Amore: “Quando ho cominciato a dipingere, la gente mi diceva che usavo i colori come Frida Kahlo, non conoscevo questo personaggio e incuriosita ho letto la sua storia. Mi sono rivista in tante sue caratteristiche, soprattutto rispetto alla resilienza al dolore e alla sofferenza. Anche lei, come me, esacerbava il dolore dipingendo”.  Manuela inizia ad organizzare le prime mostre personali a scopo benefico, donando il ricavato ad un’associazione che combatte la violenza contro le donne. In pochissimo tempo fioccano premi e riconoscimenti prestigiosi, anche a livello internazionale, espone a New York, Parigi, Budapest, Berlino, Venezia, Roma, Firenze, Milano e Genova e tra i vari premi ricevuti, il più recente è la Coppa del Mondo dell’arte consegnatale a Montecarlo. “Il riconoscimento che ho avuto è stato una sorpresa” racconta Manuela “dipingevo per stare bene, ero del tutto inconsapevole delle tecniche che usavo, pensavo solo a ciò che volevo trasmettere. Come medico, mi capita spesso di trovarmi a contatto con persone che vivono momenti difficili ed è importante far passare il messaggio che qualsiasi sofferenza può farci tirar fuori il massimo dentro di noi e che è necessario utilizzare questo sentimento come un momento di evoluzione”. Rappresentativa di questo pensiero è una delle opere esposte in una mostra personale al Louvre, dal titolo “Heart-Brain”, nella quale la parte chirurgica si combina con quella artistica, dando vita ad una donna con il cuore aperto e suturato. Abbiamo chiesto a Manuela di raccontarcela: “Sono tanti i dolori che ognuno di noi può provare nella vita: una malattia, un lutto, un incidente, un tradimento, una violenza o la Guerra. Di fronte a questo dolore la donna del dipinto si apre lo sterno e si toglie il cuore. Il dolore deriva dal suo amore immenso che non può essere contenuto all’interno di uno spazio chiuso, le coste diventano una prigione, quindi lo libera, lo porta in alto, verso la testa, il Cielo, verso Dio. Un Amore che diventa cerebrale e che si trasforma per arrivare al pensiero e alla mente di tutti. il Cuore ora è libero di amare immensamente, di pulsare e di credere ancora. Per liberare il cuore, ho inciso lo sterno col bisturi e poi col porta aghi ed il filo di seta ho cucito la ferita. La donna tiene in mano un vecchio porta aghi che utilizzavo in MultiMedica”.

Concludiamo l’intervista chiedendo a Manuela se dopo tutti i riconoscimenti ricevuti l’arte potrà sostituirsi alla sua prima passione per la medicina, ci risponde: “Adoro il mio lavoro, non lascerei mai la medicina. La pittura è una passione, ma se diventasse un lavoro perderebbe tutto il suo significato. Per me la MultiMedica è come una seconda casa, soprattutto grazie alla professionalità e alla disponibilità delle persone con le quali quotidianamente lavoro. Dopo la separazione, dovendo crescere da sola i miei bambini, non potevo più garantire una reperibilità h24 e di conseguenza mi è diventato impossibile riuscire a seguire gli interventi più complessi, tuttavia il mio Responsabile ha continuato a darmi fiducia ed ampio spazio nella patologia venosa e oggi mi occupo di tutta la parte mini-invasiva. Sentirmi utile, mi fa sentire viva”.

 

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