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Blog – Gruppo MultiMedica

Il consiglio che ha salvato la mia tiroide

Parlami di te Io sono stata fortunata, ma è molto importante far conoscere le nuove tecniche interventistiche, che possono garantirci una buona qualità della vita.

 

Negli ultimi decenni la Chirurgia ha subito un radicale cambiamento e ha spostato l’obiettivo di un intervento fine a sé stesso, volto a rimuovere la malattia, ad un intervento mirato al miglioramento della vita del paziente nella sua globalità. Grazie anche all’innovazione tecnologica, sono state sviluppate ed affinate nuove tecniche dette mininvasive in grado di ottenere gli stessi risultati della chirurgia tradizionale con i vantaggi di limitare le complicanze causate dall’intervento, di permettere al paziente un miglior recupero e diminuire il tempo di guarigione. Per una struttura ospedaliera, prediligere l’approccio terapeutico mininvasivo significa avere a disposizione tecnologie all’avanguardia ed un’équipe di professionisti specializzati in questo tipo di procedure. Non sempre, perciò, la struttura è in grado di proporre al paziente un’opzione diversa dalla chirurgia tradizionale. È ciò che è successo ad Eleonora quando ha scoperto di avere un nodulo alla tiroide.

Eleonora, come ha scoperto di avere un nodulo alla tiroide?

In famiglia c’è una certa familiarità delle problematiche legate alla tiroide. Mia mamma ne ha sofferto per anni, finché non è stato necessario procedere con un intervento di tiroidectomia, che ha previsto l’asportazione della tiroide. Oltretutto, vivo ai Castelli Romani, una zona caratterizzata da un’altissima presenza di roccia vulcanica e quindi di radon. Qui i problemi legati alla tiroide sono all’ordine del giorno.
Durante il primo lockdown, un po’ come molti in quel periodo, ero in uno stato di grande stress e il mio corpo iniziò a segnalarmi che c’era qualcosa che non stava funzionando alla perfezione. Così decisi di fare delle analisi di controllo, che effettivamente evidenziarono qualche valore fuori dal range di riferimento. Una successiva ecografia evidenziò la presenza di un nodulo alla tiroide. Il nodulo era abbastanza grosso e fin da subito non presentava criticità, era benigno, tuttavia col tempo continuò a crescere.

Le dava fastidio questo nodulo o le provocava qualche sorta di disagio?

Riscontravo una certa difficoltà nel deglutire. Ogni volta che mandavo giù un sorso d’acqua rischiavo di strozzarmi, ma poiché sono una persona abbastanza sbadata credevo fosse dovuto al fatto che bevevo troppo in fretta.  Anche il tono della voce si stava modificando, la sentivo un po’ rauca, come se ci fosse una pressione sulle corde vocali, ma non ci avevo dato troppo peso. Io lavoro tanto con la voce, sono una professoressa di lettere in un liceo, e ci sono giornate in cui parlo oltre 10 ore di fila. Posso dire che non c’è stata una sintomatologia specifica. In seguito, il Dott. Cusini, Endocrinologo dell’Ospedale San Giuseppe di Milano, mi spiegò che molte persone convivono con questi noduli senza accorgersene.

Cosa le consigliò l’endocrinologo?

Ingrandendosi, il nodulo stava premendo un pochino sulla trachea e la carotide. La massa che cresceva andava ad invadere uno spazio che non le era destinato, stressando i due organi, e alla lunga avrebbe potuto provocare un problema meccanico. Per evitare che si ripresentassero altri problemi in futuro, il mio endocrinologo mi propose di asportare la tiroide.

Cosa la spinse a non seguire il suo parere?

Ho amici che hanno avuto problemi simili al mio e hanno tolto la tiroide. Nel mio caso, però, la tiroide era perfettamente funzionante, non volevo rimuoverla. Un intervento di questo tipo avrebbe significato iniziare una terapia farmacologica con ormoni tiroidei, da mantenere per il resto della mia vita. Oltretutto, la tiroidectomia è un intervento molto delicato. La tiroide è affiancata da piccole ghiandole, denominate paratiroidi, le quali possono subire ripercussioni. Un’altra conseguenza dell’operazione poteva essere un’eventuale disfonia, che avrebbe inciso significativamente a livello professionale. Non potevo correre questo rischio e in più ero convinta che sarebbe stato uno stress inutile.
Fortunatamente, mia sorella, che è un medico oncologo, mi parlò di un’alternativa a questo tipo di intervento, si trattava di una tecnica mini-invasiva con approccio percutaneo, chiamata termoablazione eco-guidata, già utilizzata in casi simili al mio, che avrebbe permesso di ridurre il nodulo senza dover togliere un organo importante come la tiroide. Così, decisi di affidarmi alle mani di chi svolge questi interventi con una certa routine e di rivolgermi agli specialisti del Dipartimento di Endocrinologia, Nutrizione e Malattie Metaboliche del Gruppo MultiMedica.

Com’è andato l’intervento di termoablazione? Come sta adesso?

L’intervento è andato benissimo. È stato molto veloce e ha richiesto la sola anestesia locale, mi sentivo un po’ intontita, ma da buona chiacchierona, sono stata capace di parlare anche durante quel frangente. Il Dott. Monfardini, medico radiologo che ha eseguito la procedura, e tutta l’équipe hanno creato in sala radiologica un clima sereno e tranquillo. Il giorno dopo ero già operativa, non ho avuto né dolori né complicazioni, ma ho approfittato del Ponte dei Morti per riposare, dato che i dottori mi avevano detto di non sforzare troppo la voce per evitare la formazione di piccoli ematomi. La ripresa non è stata faticosa. Fin da subito, il nodulo ha iniziato a ridursi e adesso, a distanza di 8 mesi dall’intervento, il suo volume si è ridotto del 70-80%. Sono molto contenta del risultato, non solo perché non ho dovuto subire un intervento delicato ed importante come la tiroidectomia, ma anche perché non ho bisogno di assumere ulteriori medicinali. Questo genere di trattamenti è ancora poco conosciuto e si tende spesso ad intervenire in maniera tradizionale. Io sono stata fortunata ad avere mia sorella che mi ha suggerito questa strada, ma credo che sia molto importante far conoscere le nuove tecniche interventistiche, che possono garantirci una buona qualità della vita.

 

 

APPROFONDIAMO

La patologia nodulare tiroidea è molto frequente nella popolazione adulta: si stima che, mediante un esame ecografico mirato, noduli tiroidei siano rilevabili nel 50% delle donne e nel 30% degli uomini.
La maggior parte delle lesioni sono benigne e non causano sintomi locali né richiedono un trattamento. Tuttavia, un numero non trascurabile di pazienti riferisce disturbi compressivi e/o problematiche estetiche a causa delle dimensioni iniziali o della crescita progressiva del nodulo.
Tradizionalmente, le opzioni di trattamento includono la chirurgia per i noduli sintomatici solidi, oppure l’aspirazione per i noduli cistici.
Il trattamento di termoablazione del nodulo tiroideo consiste nell’ablazione termica (ovvero la bruciatura) del tessuto. In anestesia locale e sotto guida ecografica, attraverso la cute del collo, viene posizionato un ago all’interno del nodulo da trattare. Il calore sprigionato all’interno del nodulo provoca una necrosi coagulativa del tessuto tiroideo che verrà sostituito nel tempo da tessuto fibroso-cicatriziale, determinando la riduzione dimensionale del nodulo tiroideo. La durata del trattamento, che si effettua in regime di Day Hospital, è 15-30 minuti.

 

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