L’inquinamento ambientale rappresenta un nuovo fattore di rischio per lo sviluppo di patologie cardiovascolari?
Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha acceso i riflettori sugli effetti dell’inquinamento ambientale sulla salute umana. Tra i protagonisti di questo dibattito ci sono le microplastiche e le nanoplastiche, minuscole particelle che possono rappresentare un nuovo fattore di rischio cardiovascolare.
Un recente studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine e coordinato dal Prof. Giuseppe Paolisso dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, ha segnato un risultato senza precedenti: per la prima volta le microplastiche sono state rinvenute all’interno delle placche aterosclerotiche. Il lavoro, che ha visto come co-primi autori il Prof. Raffaele Marfella e il Dott. Francesco Prattichizzo, ricercatore dell’IRCCS MultiMedica, ha mostrato un legame diretto tra la presenza di microplastiche e un rischio cardiovascolare più che raddoppiato.
Abbiamo intervistato il Dott. Prattichizzo per capire meglio il legame tra microplastiche e salute cardiovascolare.
Dott. Prattichizzo, perché oggi si parla tanto di microplastiche?
Perché sono ovunque. Le micro e nanoplastiche sono minuscole particelle che respiriamo con l’aria, ingeriamo con l’acqua o attraverso cibi confezionati, e che ritroviamo perfino in oggetti di uso quotidiano, come tessuti sintetici o contenitori alimentati. È inevitabile chiedersi: possono rappresentare un nuovo fattore di rischio per la nostra salute, al pari di colesterolo, ipertensione, fumo o diabete?
Il vostro studio, recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha aperto nuove prospettive di ricerca. Può raccontarci di cosa si tratta?
Abbiamo analizzato le placche aterosclerotiche rimosse chirurgicamente dalla carotide di 257 pazienti. Per la prima volta, abbiamo rilevato la presenza di microplastiche – in particolare polietilene (PE) e polivinilcloruro (PVC), due delle plastiche più utilizzate al mondo – all’interno delle placche.
Il dato più sorprendente è che i pazienti con placche “contaminate” mostravano un rischio più che raddoppiato di infarto e ictus rispetto a chi aveva placche prive di microplastiche, indipendentemente da altri fattori di rischio come età, pressione, glicemia o colesterolo.
Avete idea del perché le microplastiche siano così pericolose per il cuore?
Non conosciamo ancora un meccanismo preciso, ma abbiamo osservato che le placche contenenti microplastiche presentavano livelli più elevati di infiammazione. Una placca infiammata è più fragile e tende a rompersi più facilmente, aumentando così il rischio che frammenti entrino nel circolo sanguigno e provochino eventi gravi come infarto o ictus.
Questi dati confermano osservazioni già emerse in studi sperimentali che avevano mostrato come le microplastiche possano indurre stress ossidativo, favorire processi infiammatori nei vasi sanguigni e alterare la funzione cardiaca.
Qual è stato il contributo dell’ IRCCS MultiMedica in questa ricerca?
Il nostro gruppo di ricerca ha avuto un ruolo centrale nel disegno dello studio, nel fornire expertise metodologico e nell’analisi dei dati, oltre che nella stesura dell’articolo. Personalmente, ho avuto l’onore di essere co-primo autore insieme al Prof. Raffaele Marfella dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”. Oggi stiamo proseguendo con nuovi progetti per indagare i meccanismi biologici alla base di questo fenomeno e capire se, e in che modo, l’esposizione a micro e nano plastiche possa contribuire allo sviluppo di aterosclerosi, infarto e ictus.
Quanto è diffuso questo problema nella popolazione?
Alcuni stime hanno rilevato che un adulto ingerisce o inala in media dalle 39.000 alle 52.000 particelle plastiche all’anno, equivalenti a circa 5 grammi di plastica a settimana, l’equivalente di una carta di credito. È un dato impressionante, che trasforma il problema dell’inquinamento da plastica non solo come una sfida ambientale, ma anche come un problema di salute pubblica globale.
Quali saranno i prossimi passi della ricerca?
Dobbiamo rispondere a una domanda cruciale: come possiamo proteggere cuore e vasi sanguigni dagli effetti invisibili, ma potenzialmente dannosi, delle microplastiche? Per questo servono ulteriori studi, collaborazione internazionale e un impegno concreto a ridurre l’esposizione della popolazione a queste particelle. A livello politico globale, c’è stato un tentativo importante con l’UN Global Plastic Treaty, il trattato internazionale promosso dalle Nazioni Unite per mettere dei limiti alla produzione e all’uso della plastica. Sono stati organizzati cinque incontri, l’ultimo circa un mese fa, ma purtroppo il negoziato si è concluso senza un accordo concreto. Questo dimostra quanto sia complesso il problema e quanto sia necessario insistere, unendo le forze della ricerca e della politica, per trovare soluzioni davvero efficaci.»