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Blog – Gruppo MultiMedica

Malattie autoimmuni del fegato: il tempo è salute

Le malattie autoimmuni del fegato insorgono quando il sistema immunitario, che è programmato per difenderci dai patogeni esterni all’organismo come virus, batteri e funghi, per errore aggredisce i propri organi, tessuti e cellule. In queste patologie epatiche il sistema immunitario attacca le cellule del fegato e dei dotti biliari, distruggendole come se fossero elementi estranei all’organismo stesso, innescando una reazione anomala che provoca un’infiammazione cronica e progressiva che conduce alla morte delle cellule (necrosi) e alla formazione di cicatrici (fibrosi), con danni permanenti di diversa gravità. Diverse possono essere le cause di queste patologie: la genetica, l’ereditarietà e familiarità, le infezioni virali, l’uso di alcuni farmaci. In assenza di una diagnosi precoce e di un adeguato trattamento, queste patologie determinano una progressiva compromissione della funzione epatica fino alla cirrosi ed alle sue temibili complicanze, quali l’epatocarcinoma e l’insufficienza epatica, ed in alcuni casi possono richiedere il trapianto di fegato.

Sono quattro le malattie autoimmuni del fegato: l’epatite autoimmune (EA), la colangite biliare primitiva (CBP), la colangite sclerosante primitiva (CSP) e la colangite IgG4-positiva. Nell’epatite autoimmune il bersaglio sono le cellule del fegato (gli epatociti), nella CPB sono le cellule dei piccoli dotti biliari, mentre nella PSC le cellule dei grandi dotti. Vi è poi la “sindrome da overlap”, una condizione nella quale si possono trovare nello stesso paziente sia le caratteristiche della CBP e dell’EA, o sia della CSP che dell’EA.
Tutte queste condizioni morbose spesso si associano ad altre patologie autoimmuni sistemiche come l’artrite reumatoide, la sclerosi sistemica, la sindrome di Sjögren, la sindrome CREST, la colite ulcerosa e la tiroidite autoimmune. Generalmente le donne tra i 40 e 70 anni sono quelle maggiormente colpite dalla CBP e dall’EA, mentre la PSC interessa maggiormente il sesso maschile.

Le malattie autoimmuni del fegato si possono variamente associare ad alcuni sintomi aspecifici come il prurito, la secchezza oculare o della bocca e la stanchezza cronica, ma solo tardivamente compaiono i sintomi tipici della malattia di fegato avanzata quali: aumento della circonferenza addominale (ascite) o edemi declivi, prurito intenso e colorazione giallastra della cute e delle mucose (ittero), dolore addominale, nausea, vomito e perdita dell’appetito.
Proprio per l’assenza di segni e sintomi specifici precoci, la gran parte di queste malattie viene diagnosticata in maniera del tutto occasionale per un’alterazione delle transaminasi (AST e ALT) o degli indici di colestasi (gamma-gt, fosfatasi alcalina, bilirubina). Per la diagnosi definitiva si ricercano gli autoanticorpi specifici di malattia (ANA, ASMA, anti-LKM, AMA e ANCA), ed in alcuni casi si ricorre alla Risonanza Magnetica o alla biopsia epatica. Purtroppo però, proprio per il decorso del tutto asintomatico, accade spesso che la diagnosi venga formulata tardivamente quando vi è già una fibrosi epatica significativa o una cirrosi o, peggio ancora, quando si sono già manifestate le complicanze della cirrosi stessa. Se non diagnosticate e trattate adeguatamente, le malattie epatiche autoimmuni hanno una prognosi sfavorevole, con una sopravvivenza significativamente peggiore rispetto alla popolazione generale.
Non esistono misure per la prevenzione delle malattie autoimmuni del fegato. È necessario, come regola generale, seguire uno stile di vita sano, con un’alimentazione equilibrata riducendo o evitando il consumo di alcolici, e con attività fisica moderata e regolare. Ad oggi, l’unica strategia per ridurre l’impatto clinico di queste patologie si fonda sulla diagnosi precoce ed il trattamento efficace. Nell’EA la terapia si basa sull’uso di immunosoppressori (corticosteroidi, ciclosporina, azatioprina), che servono a diminuire la reattività del sistema immunitario contro parti dello stesso organismo, anche se questi farmaci possono avere importanti effetti collaterali. Nella PBC e PSC la terapia iniziale si basa sull’acido urso-desossicolico (UDCA) e su farmaci innovativi di seconda linea in caso di mancata risposta all’UDCA.

I pazienti con epatopatia cronica autoimmune rappresentano il paradigma di come una gestione multidisciplinare e condivisa con i medici di medicina generale e con gli altri specialisti sia in grado di diagnosticare precocemente i pazienti, stratificarli in base al loro rischio di progressione del danno epatico e avviarli ad un trattamento capace di modificare significativamente la loro prognosi. Da anni in Lombardia disponiamo di una rete di specialisti che hanno sviluppato percorsi dedicati a queste patologie per avere una rapida diagnosi, ottenere un rapido accesso alle cure e un’efficace presa in carico dei pazienti.
Per quanto sopra esposto, è raccomandato che tutti i pazienti con alterazione degli esami epatici (AST, ALT, gamma-gt, fosfatasi alcalina e bilirubina), o sintomi come astenia e/o prurito, o alterazioni all’ecografia epatica o familiarità per patologie epatiche autoimmuni, eseguano quanto prima una valutazione specialistica epatologica per identificare l’eventuale presenza di un’epatopatia cronica autoimmune perché mai come per queste patologie il tempo è salute.

Dr. Mauro Viganò, Unità di Epatologia, Ospedale San Giuseppe / Università degli Studi di Milano

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