Dai geni dei centenari una nuova terapia contro le malattie cardiovascolari
Il DNA influisce sulla durata della vita. Alcune persone infatti vivono molto più a lungo della media, e si pensa sia dovuto anche ad un “gene della longevità”.
Una ricerca tutta italiana mostra che potrebbe essere possibile replicare questo “dono genetico” anche per chi ne è sprovvisto. Infatti questo gene, molto frequente in persone che superano i cento anni di vita, è stato inserito in modelli animali, nei quali ha bloccato l’aterosclerosi.
Ma partiamo dal principio. Da anni gli studiosi di Genetica della popolazione analizzano la composizione genetica delle popolazioni e del suo cambiamento generazionale al fine di scoprire pool genetici comuni ed identificare le “spinte” che possono variarne la composizione e di conseguenza l’evoluzione della specie. Le variazioni genetiche potrebbero modificare la struttura, l’espressione o la funzione della proteina codificata dal gene in cui risiedono e contribuire a regolare la predisposizione ad una determinata patologia o conferire una caratteristica vantaggiosa, come la longevità. Esiste infatti una variante genetica legata alla longevità, alla resistenza all’invecchiamento e ad un minor rischio di ammalarsi di malattie cardiovascolari.
Nello specifico lo studio oggetto di questo articolo, condotto da un gruppo di ricercatori dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS), del nostro I.R.C.C.S. MultiMedica di Sesto San Giovanni (MI) e dell’Università di Salerno, con il sostengo di Fondazione Cariplo e Ministero della Salute, e pubblicato sul giornale scientifico European Heart Journal ha aperto la strada a scenari terapeutici estremamente rilevanti.
Alcuni anni fa questo stesso gruppo di ricerca aveva individuato il cosiddetto “gene della longevità”, la LAV-BPIFB4 (“longevity associated variant; variante associata alla longevità”), una variante del gene che codifica la proteina BPIFB4. La scoperta è avvenuta confrontando il DNA di circa 3000 individui di gruppi di persone ultracentenarie provenienti dall’Italia (nello specifico dal Cilento), dalla Germania e dagli Stati Uniti con un gruppo di controllo composto da 2000 persone giovani provenienti dagli stessi stati.
Lo studio è quindi proseguito, al fine di valutare le potenzialità terapeutiche del suddetto gene. In questa direzione i ricercatori hanno inserito il gene LAV-BPIFB4 nel DNA di animali da laboratorio particolarmente suscettibili all’aterosclerosi e, di conseguenza, a patologie cardiovascolari. Il gene è stato inserito in un virus modificato in modo tale da poter veicolare il suo genoma all’interno delle cellule bersaglio, senza dare malattia.
“I risultati sono stati estremamente incoraggianti. Abbiamo osservato un miglioramento della funzionalità dell’endotelio (la superficie interna dei vasi sanguigni), una riduzione di placche aterosclerotiche nelle arterie e una diminuzione dello stato infiammatorio” spiega il prof. Annibale Puca, genetista del Gruppo MultiMedica e coordinatore dell’equipe di ricerca con l’Università degli Studi di Salerno.
In altri termini, l’inserimento del “gene dei centenari” nei modelli animali ha provocato un vero e proprio ringiovanimento del sistema cardiocircolatorio. Lo stesso effetto positivo è stato ottenuto anche in laboratorio, questa volta non inserendo geni nelle cellule ma somministrando la proteina BPIFB4 codificata dal gene LAV-BPIFB4 a vasi sanguigni umani ottenuti da pazienti con aterosclerosi. Sono stati infatti notati effetti come il ripristino della funzione endoteliale, il rilascio di fattori protettivi e l’inibizione di quelli con attività pro infiammatoria.
A questi dati sperimentali i ricercatori hanno quindi aggiunto un ulteriore studio condotto su gruppi di pazienti. Si è visto prima di tutto che ad un maggiore livello di proteina BPIFB4 nel sangue corrispondeva una migliore salute dei loro vasi sanguigni. Inoltre proprio i portatori della variante genetica LAV avevano livelli di proteina maggiori. Il trattamento con LAV-BPIFB4 è in grado di migliorare l’attività vascolare, abbassare la pressione arteriosa e resistere allo stress cellulare.
“Questo studio apre la strada alla possibilità di soluzioni terapeutiche basate sulla proteina LAV-BPIFB4. Naturalmente saranno necessarie ancora molte ricerche, ma pensiamo che sia possibile, somministrando la proteina stessa ai pazienti, rallentare i danni cardiovascolari dovuti all’età. In altre parole, anche se una persona non possiede quelle particolari caratteristiche genetiche che la rendono longeva, potremmo essere in grado di offrire lo stesso livello di protezione” commenta Carmine Vecchione, preside della facoltà di Medicina dell’Università di Salerno e direttore dell’unità complessa di Cardiologia presso l’I.R.C.C.S. Neuromed.
Oggi i ricercatori sono quindi convinti di aver individuato una nuova possibilità di terapia destinata all’uomo e basata direttamente sulla proteina. La possibilità di “trasferire” parte di questa fortuna genetica anche nelle persone cosiddette “normali”, quelle che non sono nate per vivere fino e oltre i 100 anni d’età. Si apre quindi la strada ad un modello innovativo di terapia, con la possibilità di creare dei farmaci, capace di prevenire e combattere le malattie cardiovascolari attraverso un vero e proprio ringiovanimento dei vasi sanguigni.