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Ospedale San Giuseppe
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  • Amniocentesi

    L’amniocentesi è una procedura che consente il prelievo transaddominale di liquido amniotico dalla cavità uterina: è la metodica più diffusa per ottenere campioni biologici utili al fine di effettuare una diagnosi prenatale.

    L’esame del liquido amniotico serve a valutare il cariotipo, cioè l’assetto cromosomico fetale, per determinarne la normalità o, al contrario, la presenza di anomalie. La più frequente e sicuramente una delle più importanti anomalie diagnosticabili mediante l’amniocentesi è la Sindrome di Down.

    In cosa consiste l’esame?

    L’amniocentesi consiste nell’aspirazione, con un sottilissimo ago, di un campione di liquido amniotico per via trans addominale. L’esame viene eseguito con il supporto dell’ecografia per valutare la posizione del feto e la localizzazione dell’ago. I circa 15 cc di liquido amniotico vengono inviati in laboratorio per essere esaminati alla ricerca di eventuali anomalie cromosomiche. Il risultato è pronto, in media, in un paio di settimane e offre una diagnosi prenatale praticamente sicura su malattie come Sindrome di Down, fibrosi cistica, Sindrome di Edward, Sindrome di Turner e molte altre.

    Quando si esegue?

    Il periodo ideale per eseguire l’amniocentesi è tra la 15ª e la 18ª settimana, quando l’amnios (sacca membranosa che circonda e protegge l’embrione) ha raggiunto dimensioni sufficienti perché la pratica non costituisca un rischio per il feto.

    Poiché questa diagnosi avviene solo alla diciannovesima settimana, spesso richiede la necessità di ricorrere ad aborti terapeutici. Per ovviare a questo ritardo di diagnosi, si ricorre alla villocentesi che mediante un prelievo di materiale placentare permette una diagnosi di anomalie cromosomiche fetali più precoce. Questi due procedimenti diagnostici (amniocentesi e villocentesi), essendo “invasivi”, comportano un rischio di abortività non trascurabile.

    I rischi dell’amniocentesi

    Il rischio di aborto spontaneo connesso all’amniocentesi si aggira mediamente intorno allo 0,5%.

    La complicanza più temibile risulta comunque essere la rottura traumatica delle membrane. Tale evenienza accade con una incidenza di circa 1 caso su 300 e può condurre all’aborto o complicare comunque la gravidanza.

    Di tali percentuali si deve tener conto quando si valuta il rischio/beneficio della procedura diagnostica: il rischio abortivo va infatti comparato con le percentuali di anormalità cromosomiche per l’età. Esiste poi una serie di altre problematiche delle quali conviene tener conto. C’è la possibilità infatti che le sole cellule del liquido amniotico siano portatrici di un vero mosaicismo assente poi negli altri tessuti fetali.
    Il riscontro di un mosaicismo nell’amniocentesi deve di solito essere considerato come mosaicismo fetale, essendo confermato nell’80% dei casi. I veri problemi insorgono quando si riscontrano anomalie cromosomiche particolari, per le quali siamo sicuri della tecnica, ma non conosciamo l’espressività fenotipica (piccoli cromosomi sovrannumerari, inversioni, traslocazioni apparentemente bilanciate). In questi casi l’indagine sui genitori è di grande ausilio poiché, spesso, riscontriamo la stessa anomalia in uno di essi. Qualora ci trovassimo di fronte ad una mutazione “de novo” avvenuta nel feto, vale la pena, ove possibile, eseguire ulteriori accertamenti citogenetici. Un’accurata ecografia morfologica è sempre indicata.

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